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100 PASOLINI

PASOLINI −  POESIE

DA “TRASUMANAR E ORGANIZZAR”

CODA ALLE COSE SUCCESSE ECC. (1971)

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Voi, autori di stupide e pericolose parabole

la cui lingua è l'azione

e il cui contenuto è una patria!

 

Ella oppone a tutto questo

la completezza inaccessibile di una vita

ch'è una lotta interrotta dagli stupori

per la sua quotidianità

e da commozione di prigioniero graziato.

 

Voi mascalzoni ciechi

che scendete nelle coscienze

e costringete a correre in sogno negli aeroporti

presidiati dalla polizia

e a fare in sogno la spia.

 

Ella oppone monumento a monumento,

una sconsolata, consolante retorica dell'essere.

 

Voi assassini senza qualità

nati nella società di un tempo, buffonata

con vicinati pettegoli e vita domestica regolare

dove la scarsità di denaro e la provincia regnavano.

 

Ella oppone un'altra vita contadina

che conobbe grandiosi vasi di terracotta e pozzi

e diede ragazze− regine

emigrate in città.

 

Voi che costringete i vostri oppositori

a vantarsi dei propri buoni sentimenti

e a essere talmente dalla parte della ragione

da sentirsi il latte alle ginocchia.

 

Ella oppone l'ambiguità della gloria

che sorride col sorriso dei pontefici

e dei parvenus per il momento potenti.

 

Voi, re della salute greca

come il vento senza testa

girare per la Beozia e Atene

pecorai che cacano sulla tragedia.

 

Ella oppone il cpriccio del vento

cui nessuno può dir nulla

che va per la Beozia e per Atene

per l'Olimpo e Tragonissi, regalmente umile,

destinato a finire, e quindi,

nella sua leggerezza, mostruosamente infelice.

 

Voi, mestatori della vita eterna

E della gioventù, costati poco,

irrimediabilmente a buon mercato,

che fate della mancanza di qualità un vanto

e di ciò che si dice al Pireo la verità.

 

Ella oppone all'impeto con cui il mare

Davanti alla stupida e pericolosa Atene

Erge come cazzi azzurri i suoi Dei.

 

 

 

 VERSI DA TESTAMENTO (1970)

La solitudine: bisogna essere molto forti
per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe
e una resistenza fuori del comune; non si deve rischiare
raffreddore, influenza o mal di gola; non si devono temere
rapinatori o assassini; se tocca camminare
per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera
bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c’è;
specie d’inverno; col vento che tira sull’erba bagnata,
e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi;
non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte
senza doveri o limiti di qualsiasi genere.
Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri
– e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento,
tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti – non sono che momenti della solitudine;
più caldo e vivo è il corpo gentile
che unge di seme e se ne va,
più freddo e mortale è intorno il diletto deserto;
è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso,
non il sorriso innocente o la torbida prepotenza
di chi poi se ne va; egli si porta dietro una giovinezza
enormemente giovane; e in questo è disumano,
perché non lascia tracce, o meglio, lascia una sola traccia
che è sempre la stessa in tutte le stagioni.
Un ragazzo ai suoi primi amori
altro non è che la fecondità del mondo.
È il mondo che così arriva con lui; appare e scompare,
come una forma che muta. Restano intatte tutte le cose,
e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più;
l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito. Dunque
la solitudine è ancora più grande se una folla intera
attende il suo turno: cresce infatti il numero delle sparizioni –
l’andarsene è fuggire – e il seguente incombe sul presente
come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte.
Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,
specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena,
e per te non è mutato niente; allora per un soffio non urli o piangi;
e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza,
e forse un po’ di fame. Enorme, perché vorrebbe dire
che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe esser più soddisfatto,
e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine
è la solitudine vera, quella che non puoi accettare?
Non c’è cena o pranzo o soddisfazione del mondo,
che valga una camminata senza fine per le strade povere,
dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.

da Trasumanar e organizzar (1971)

 

 

TRASUMANAR E ORGANIZZAR −  Poemetto −  1971

 

Tuttavia, no, non è un esame di coscienza che ora voglio fare,

e ancor meno un'ennesima confessione delle mie colpe.

Non voglio ammettere neanche che faccio delle semplificazioni a braccio −

e quindi della retorica − che sono lo spirito di ogni istituzione:

anche di quella voluta dalla volontà degli operai.

Intendo semplicemente questo: cha da ora in avanti

farò tacere i miei scrupoli di verità, facendo torto a me stesso.

Amo o non amo le istituzioni? La verità più vera non è questa?

E allora perché lottare per quell'altra verità,

che sono costretto ad amare, essendo costretto a vivere al margine

delle istituzioni come un bandito?

Compio un ennesimo atto di viltà. Rientro nell'ordine.

Se potessi iscrivermi al PCI, lo farei. E agirei di conseguenza,

con una lealtà, che può giungere anche a tacitare la coscienza.

Non è una novità che un uomo debba essere costretto a scegliere

tra due vite di compromesso, e si arrenda. Del resto

Io mi sono sempre opposto al PCI con dedizione, e aspettandomi

una risposta alle mie obiezioni. Così da procedere dialetticamente!

Questa risposta non è mai venuta: una polemica fraterna

è stata scambiata per una polemica blasfema.

Ma non è stato un errore prendermela per una banale ingiustizia?

Le istituzioni sono ingiuste: e dunque?

Ma è solo per le istituzioni che c'è rapporto tra me e questi operai.

E non parlo solo del PCI, ma anche di tutto ciò che è precedente ad esso,

istituito nella storia millenaria, che mi lega a questi uomini.

La loro volontà è quella di avere comandamenti da un padre:

hanno già avuto un grande coraggio a liberarsi dal vecchio padre

e di sostituirlo, raggiungendo così la sola loro libertà possibile.

Sia ben chiaro: questa pura e semplice eventualità

d'iscrivermi oggi, a quasi quarantasette anni, al PCI,

non si realizza solo perché non sono ancora capace di far voto

di castità: ma anche perché l'equivoco continua,

e mi so incorreggibile nel perseguire la mia mania di verità

(non so se si tratta poi di verità, o di amore per essa: ma che sia una mania

questo è certo: forse autolesionismo, forse attaccamento alla mia sorte

di eletto, costretto a scegliere tra volgarità e idealismo).

Per pura contraddizione, consolatrice, devo però prendere in esame

anche l'ipotesi totalmente contraria: cioè: questa pura e semplice

eventualità d'iscrivermi, non è spiegabile solo con un ipocrita calcolo,

ma, se mai, a un calcolo dovuto al mio strano equilibrio, che mi lega,

nel profondo, a mia insaputa, a questi operai.

Tradisco un patto di lealtà − quella verso me stesso idealista −

perché mi sembra più giusto adattarmi al patto di lealtà

con gli operai, e col loro Partito, che è così come essi lo vogliono.

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