Anno VIII - Numero 3/2022
PASOLINI − POESIE
DA “TRASUMANAR E ORGANIZZAR”
CODA ALLE COSE SUCCESSE ECC. (1971)
Voi, autori di stupide e pericolose parabole
la cui lingua è l'azione
e il cui contenuto è una patria!
Ella oppone a tutto questo
la completezza inaccessibile di una vita
ch'è una lotta interrotta dagli stupori
per la sua quotidianità
e da commozione di prigioniero graziato.
Voi mascalzoni ciechi
che scendete nelle coscienze
e costringete a correre in sogno negli aeroporti
presidiati dalla polizia
e a fare in sogno la spia.
Ella oppone monumento a monumento,
una sconsolata, consolante retorica dell'essere.
Voi assassini senza qualità
nati nella società di un tempo, buffonata
con vicinati pettegoli e vita domestica regolare
dove la scarsità di denaro e la provincia regnavano.
Ella oppone un'altra vita contadina
che conobbe grandiosi vasi di terracotta e pozzi
e diede ragazze− regine
emigrate in città.
Voi che costringete i vostri oppositori
a vantarsi dei propri buoni sentimenti
e a essere talmente dalla parte della ragione
da sentirsi il latte alle ginocchia.
Ella oppone l'ambiguità della gloria
che sorride col sorriso dei pontefici
e dei parvenus per il momento potenti.
Voi, re della salute greca
come il vento senza testa
girare per la Beozia e Atene
pecorai che cacano sulla tragedia.
Ella oppone il cpriccio del vento
cui nessuno può dir nulla
che va per la Beozia e per Atene
per l'Olimpo e Tragonissi, regalmente umile,
destinato a finire, e quindi,
nella sua leggerezza, mostruosamente infelice.
Voi, mestatori della vita eterna
E della gioventù, costati poco,
irrimediabilmente a buon mercato,
che fate della mancanza di qualità un vanto
e di ciò che si dice al Pireo la verità.
Ella oppone all'impeto con cui il mare
Davanti alla stupida e pericolosa Atene
Erge come cazzi azzurri i suoi Dei.
VERSI DA TESTAMENTO (1970)
La solitudine: bisogna essere molto forti
per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe
e una resistenza fuori del comune; non si deve rischiare
raffreddore, influenza o mal di gola; non si devono temere
rapinatori o assassini; se tocca camminare
per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera
bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c’è;
specie d’inverno; col vento che tira sull’erba bagnata,
e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi;
non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte
senza doveri o limiti di qualsiasi genere.
Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri
– e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento,
tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti – non sono che momenti della solitudine;
più caldo e vivo è il corpo gentile
che unge di seme e se ne va,
più freddo e mortale è intorno il diletto deserto;
è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso,
non il sorriso innocente o la torbida prepotenza
di chi poi se ne va; egli si porta dietro una giovinezza
enormemente giovane; e in questo è disumano,
perché non lascia tracce, o meglio, lascia una sola traccia
che è sempre la stessa in tutte le stagioni.
Un ragazzo ai suoi primi amori
altro non è che la fecondità del mondo.
È il mondo che così arriva con lui; appare e scompare,
come una forma che muta. Restano intatte tutte le cose,
e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più;
l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito. Dunque
la solitudine è ancora più grande se una folla intera
attende il suo turno: cresce infatti il numero delle sparizioni –
l’andarsene è fuggire – e il seguente incombe sul presente
come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte.
Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,
specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena,
e per te non è mutato niente; allora per un soffio non urli o piangi;
e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza,
e forse un po’ di fame. Enorme, perché vorrebbe dire
che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe esser più soddisfatto,
e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine
è la solitudine vera, quella che non puoi accettare?
Non c’è cena o pranzo o soddisfazione del mondo,
che valga una camminata senza fine per le strade povere,
dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.
da Trasumanar e organizzar (1971)
TRASUMANAR E ORGANIZZAR − Poemetto − 1971
Tuttavia, no, non è un esame di coscienza che ora voglio fare,
e ancor meno un'ennesima confessione delle mie colpe.
Non voglio ammettere neanche che faccio delle semplificazioni a braccio −
e quindi della retorica − che sono lo spirito di ogni istituzione:
anche di quella voluta dalla volontà degli operai.
Intendo semplicemente questo: cha da ora in avanti
farò tacere i miei scrupoli di verità, facendo torto a me stesso.
Amo o non amo le istituzioni? La verità più vera non è questa?
E allora perché lottare per quell'altra verità,
che sono costretto ad amare, essendo costretto a vivere al margine
delle istituzioni come un bandito?
Compio un ennesimo atto di viltà. Rientro nell'ordine.
Se potessi iscrivermi al PCI, lo farei. E agirei di conseguenza,
con una lealtà, che può giungere anche a tacitare la coscienza.
Non è una novità che un uomo debba essere costretto a scegliere
tra due vite di compromesso, e si arrenda. Del resto
Io mi sono sempre opposto al PCI con dedizione, e aspettandomi
una risposta alle mie obiezioni. Così da procedere dialetticamente!
Questa risposta non è mai venuta: una polemica fraterna
è stata scambiata per una polemica blasfema.
Ma non è stato un errore prendermela per una banale ingiustizia?
Le istituzioni sono ingiuste: e dunque?
Ma è solo per le istituzioni che c'è rapporto tra me e questi operai.
E non parlo solo del PCI, ma anche di tutto ciò che è precedente ad esso,
istituito nella storia millenaria, che mi lega a questi uomini.
La loro volontà è quella di avere comandamenti da un padre:
hanno già avuto un grande coraggio a liberarsi dal vecchio padre
e di sostituirlo, raggiungendo così la sola loro libertà possibile.
Sia ben chiaro: questa pura e semplice eventualità
d'iscrivermi oggi, a quasi quarantasette anni, al PCI,
non si realizza solo perché non sono ancora capace di far voto
di castità: ma anche perché l'equivoco continua,
e mi so incorreggibile nel perseguire la mia mania di verità
(non so se si tratta poi di verità, o di amore per essa: ma che sia una mania
questo è certo: forse autolesionismo, forse attaccamento alla mia sorte
di eletto, costretto a scegliere tra volgarità e idealismo).
Per pura contraddizione, consolatrice, devo però prendere in esame
anche l'ipotesi totalmente contraria: cioè: questa pura e semplice
eventualità d'iscrivermi, non è spiegabile solo con un ipocrita calcolo,
ma, se mai, a un calcolo dovuto al mio strano equilibrio, che mi lega,
nel profondo, a mia insaputa, a questi operai.
Tradisco un patto di lealtà − quella verso me stesso idealista −
perché mi sembra più giusto adattarmi al patto di lealtà
con gli operai, e col loro Partito, che è così come essi lo vogliono.
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