Anno VIII - Numero 3/2022
ALDO GARZIA, QUANDO UN ALTRO COMUNISMO
È POSSIBILE
di Vincenzo Vita
Aldo Garzia se ne è andato. Un grande, grandissimo dolore. Dopo diversi giorni di resistenza, che ci avevano indotto a sperare che riuscisse a superare il male, il filo si è spezzato.
Chissà, se esiste il paradiso sarà già lì a discutere con Lucio Magri e Pietro Ingrao, i maggiori riferimenti politici della sua densissima esistenza. Anzi. Un gioco (ma non troppo) era proprio la discussione con lui sulla prevalenza nella simpatia dell’uno o dell’altro. Del resto, si trattava di due figure strettamente connesse, capiscuola unici e probabilmente irripetibili di un mondo che oggi ci appare solo in sogno.
Magri, ma pure l’intero pantheon del gruppo originario de il manifesto (da Rossanda, a Castellina, a Menapace, a Pintor, a Parlato, a Maone, a Crucianelli, a Serafini, a Milani che lo chiamava Gàrzia) erano i protagonisti dell’immaginario politico di una figura fondamentale di quella storia. Anzi, va detto con una punta di amaro rammarico, che Garzia meritava di essere maggiormente valorizzato, viste le indubbie qualità che l’hanno contraddistinto.
Giovanissimo animatore del gruppo nel ponente ligure insieme a Franco Astengo e a Carla Nattero, arrivò a Roma nella prima metà degli anni settanta per studiare ed avviare nello stesso tempo un’attività fatta di rigore e di passione: giornale, partito (il Pdup), gruppo parlamentare, le riviste Pace e guerra, Palomar, Paneacqua e Aprile, l’agenzia Askanews, la testata digitale Terzogiornale, libri e saggi. Cuba, Olof Palme, Zapatero, Bergman. Gino Paoli sono stati alcuni dei temi approfonditi con un approccio sempre attento all’analisi e ricco di riflessioni. Di qualsiasi argomento si interessasse, si sentiva la miscela dell’analisi marxiana mai rimossa e la curiosità dolce di una passione non sopita. Malgrado delusioni e amarezze. In lui non c’erano miti e divi (ad un certo ironico culto divistico si prestavano i post su Facebook che ritraevano quotidianamente famose attrici). Prevaleva sempre la ricerca del filo conduttore di esperienze apparentemente asimmetriche e tuttavia legate da un’ansia creativa e dalla voglia di cambiare l’ordine delle cose. Le rivoluzioni terzomondiste, la forza tranquilla ma prefigurante di un socialdemocratico speciale come il leader svedese (insieme a Willy Brandt, su cui si è letto un ampio articolo su il manifesto dello scorso 30 marzo, poco prima della crisi divenuta mortale), la genialità del regista de Il settimo sigillo hanno ispirato la scrittura di Aldo Garzia. Quante letture, quanta fatica nella vita umile e insieme poliedrica di un giornalista-scrittore, com’è uso dire nelle biografie. Ma la definizione non rende la complessità di una persona alla ricerca costante di quell’altro comunismo condiviso con le sue maestre e i suoi maestri e che dà il titolo ad un preziosa raccolta di alcuni scritti di Magri curata insieme a Castellina e Crucianelli. Maestro egli stesso per tanti di noi, ivi comprese le salutari litigate.
Vero interprete dell’anima critica del comunismo democratico italiano si è dedicato nell’ultima fase alla costruzione di un sito di dibattito intitolato a Lucio Magri , rilanciato nel corso di un seminario tenutosi a Rimini alla fine del novembre dell’anno passato. Lì si riuniva, in occasione del decennale della scomparsa di Lucio Magri, il quadro ancora attivo scaturito da quell’esperienza. L’ipotesi ambiziosa emersa, suggerita proprio da Garzia, era di costituire una rete aperta, utile per fornire idee e mettersi a disposizione di un ripensamento fattivo delle modalità di essere di sinistre oggi deboli e frammentate. La speranza coltivata da una delle intelligenze migliori che abbiamo conosciuto era semplice e netta: azzerare tutto, a cominciare da un partito democratico diviso e distante dalle sue stesse premesse originarie, e a partire dalle dispersive piccole formazioni alla ricerca di un futuro non condannato alla marginalità. Per costruire un vero partito riformista fondato su basi solide e capace di capire i conflitti, dentro la tradizione migliore della socialdemocrazia europea. Vasto programma, avrebbe detto un famoso generale, prima dell’età dei talk. Però, senza utopia non si combina niente.
Ma non era una supponente trovata sloganistica o astratta. Quanti incontri, a casa e nei locali del quartiere Testaccio di Roma, che l’aveva adottato e tutelato dopo i primi problemi di salute iniziati una decina di anni fa. Allora si era ripreso, pur con fatica. Un tessuto di relazioni costruito mattone su mattone, con una tenacia lontana dai narcisismi divenuti di moda.
Ora, però, il nostro Cavaliere indefesso si è dovuto arrendere alla Signora in nero. Questa volta, ha perso la partita a scacchi. Però, per riprendere un motivo dell’amatissimo Bergman, ci accorgeremo dell’importanza di un così caro compagno dalla sua assenza. Ci mancherà moltissimo. E abbracciamo commossi le care sorelle Dora, Giovanna e Maurizia accanto a lui fino all’ultimo.