Anno VIII - Numero 3/2022
Ricerche d’identità
TRA IMPEGNO CIVILE E POLITICO-SOCIALE
BREVE POSTILLA SULLA POESIA
DI ELIO PAGLIARANI
di Giorgio Moio
Le prime tracce che si riscontrano nel leggere la poesia di Elio Pagliarani sono tracce di crepuscolarismo, un’elegia fatta di versi narrati, con un linguaggio più o meno rilkiano, a sostegno di un progetto tutt’altro che in favore della polis o legato alla psicologia e al privato dei personaggi; per questa sua vocazione è stato defi-nito il più tradizionalista tra i “Novissimi”, una definizione un po’ troppo grossolana e sbrigativa ma non del tutto infondata.
A ben guardare, dunque, pur notandovi un forte “impegno civile e politico-sociale”, aspetti intriganti che attraverso Pascoli e il primo Palazzeschi lo calano nella tradizione che ispeziona, con La ragazza Carla e altre poesie1 inaugura la stagione dello sperimentalismo realistico, del narrare il proprio interiore che lo avvicina più a Pasolini e a Leonetti che a Sanguineti, Giuliani, Balestrini e Porta.
Poesia definita da Giuliani epica quotidiana questa de La ragazza Carla, che da un lato ci propone un racconto in versi di una giornata fedele alla realtà, che ha come protagonista una giovane dattilografa della Milano uggiosa del rilancio economico, dall’altro una mimesi critica e demistificante della società, con un linguaggio tradizionale che si realizza per accumulazione, amplificazione, montaggio e smontaggio di lacerti linguistici, «con un’interpretazione estremamente pertinente delle istanze formali del nuovo sperimentalismo»2.
Con una struttura poetica che si poggia sul verso lungo e su componimenti altrettanto lunghi, la sua poesia diviene innanzitutto argomento e oggetto per una disperazione, per un abbassamento dell’immediatezza del parlato, atta ad imbrigliare soprat tutto la nostalgia popolare elevata a canto lirico, tipica della tradizione letteraria tra Ottocento e Novecento, ma senza la sofferenza o il “pianto” dei crepuscolari.
E «propone già almeno due elementi specifici del Pagliarani successivo: una espugnazione della base psicologistico-intimistica in favore di una oggettività intenzionata (di un senso dell’esterno che a guardare bene si può far risalire senza rischio, tra l’altro, a Carlo Porta: lo ha osservato del resto Vivaldi già nel 1962) e, d’altra parte, una indiziaria distruzione della prevedibilità del “racconto” operata all’interno di strutture peraltro vocazionalmente narrative»3.
Si serve, per questo, dell’ironia, dell’autoironia – più precisamente –, che attraverso la fantasia linguistica, la contestazione e l’opposizione alla rappresentazione “reale”, ma non come finalità («perché l’opposizione agisca da opposizione e abbia i suoi testimoni»)4, ad ogni mimesi della poesia stessa, del poeta stesso («… Poeta è una parola che non uso / di solito…»)5, a significati precostituiti e codificati – pur rimanendo nel quotidiano, ma senza pianto –, lo portano alla “riduzione” dell’io per aprirsi all’impegno per la comunicazione, alla riaffermazione – appunto – della funzione sociale (e politica) della letteratura.
«Le tecniche di scrittura non sono altro che una fedele riproduzione di quei ritmi ossessivi e alienanti che arrivano a corrodere tutto: perfino il ritratto del protagonista (che in tanta letteratura costituisce un elemento imprescindibile del componimento) ha il tono di una pratica burocratica»6:
I
Di là dal ponte della ferrovia
una traversa di viale Ripamonti
c’è la casa di Carla, di sua madre, e di Angelo e Nerina.
Il ponte sta lì buono e sotto passano
treni carri vagoni frenatori e mandrie dei macelli
e sopra passa il tram, la filovia di fianco, la gente che cammina
i camion della frutta di Romagna.
Chi c’è nato vicino a questi posti
non gli passa neppure per la mente
come è utile averci un’abitudine
Le abitudini si fanno con la pelle
così tutti ce l’hanno se hanno la pelle
Ma c’è il momento che l’abitudine on tiene
chissà che cosa insiste nel circuito
o fa contatto
o prende la tangente
allora la burrasca
periferica, di terra
il ponte se lo copre e spazza e qualcheduno
può cascar sotto
e i film che Carla non li può soffrire
un film di Jean Gabin può dire il vero
è forse il fischio e nebbia o il disperato
stridere di ferrame o il tuo cuore sorpreso, spaventato
il cuore impreparato, per esempio, a due mani
che piombano sul petto
Solo pudore non è che la fa andare
fuggitiva nei boschi di cemento
o il contagio spinoso della mano.
(da La ragazza Carla, op. cit.)
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1 Da La ragazza Carla e altre poesie (Mondadori, 1962).
2 P. V. Mengaldo, Elio Pagliarani, in Aa. Vv., Poesia italiana del Novecento, a cura dello stesso, Oscar Mondadori, 1990, p. 936.
3 G. Luzi, La ragazza Carla e altre poesie di Elio Pagliarani, in «Poesia», n. 9, anno II, Milano, settembre 1989, p. 65.
4 E. Pagliarani, Lezione di fisica, in Poesia italiana del Novecento, a cura di E. Sanguineti, vol. II, Einaudi, 19883, p. 1107.
5 Id., Oggetti e argomenti per una disperazione, ivi, p. 1100.
6 L. Di Lello, La ragazza Carla di Elio Pagliarani. Poesia e frenesia, in «La Cooltura», 17 febbraio 2015.