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PER PAGLIARANI

Ricerche d’identità

TRA IMPEGNO CIVILE E POLITICO-SOCIALE

BREVE POSTILLA SULLA POESIA

DI ELIO PAGLIARANI

di Giorgio Moio

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Le prime tracce che si riscontrano nel leggere la poesia di Elio Pagliarani sono tracce di crepuscolarismo, un’elegia fatta di versi narrati, con un linguaggio più o meno rilkiano, a sostegno di un progetto tutt’altro che in favore della polis o legato alla psicologia e al privato dei personaggi; per questa sua vocazione è stato defi-nito il più tradizionalista tra i “Novissimi”, una definizione un po’ troppo grossolana e sbrigativa ma non del tutto infondata.

A ben guardare, dunque, pur notandovi un forte “impegno civile e politico-sociale”, aspetti intriganti che attraverso Pascoli e il primo Palazzeschi lo calano nella tradizione che ispeziona, con La ragazza Carla e altre poesie1 inaugura la stagione dello sperimentalismo realistico, del narrare il proprio interiore che lo avvicina più a Pasolini e a Leonetti che a Sanguineti, Giuliani, Balestrini e Porta.

Poesia definita da Giuliani epica quotidiana questa de La ragazza Carla, che da un lato ci propone un racconto in versi di una giornata fedele alla realtà, che ha come protagonista una giovane dattilografa della Milano uggiosa del rilancio economico, dall’altro una mimesi critica e demistificante della società, con un linguaggio tradizionale che si realizza per accumulazione, amplificazione, montaggio e smontaggio di lacerti linguistici, «con un’interpretazione estremamente pertinente delle istanze formali del nuovo sperimentalismo»2.

Con una struttura poetica che si poggia sul verso lungo e su componimenti altrettanto lunghi, la sua poesia diviene innanzitutto argomento e oggetto per una disperazione, per un abbassamento dell’immediatezza del parlato, atta ad imbrigliare soprat tutto la nostalgia popolare elevata a canto lirico, tipica della tradizione letteraria tra Ottocento e Novecento, ma senza la sofferenza o il “pianto” dei crepuscolari.

E «propone già almeno due elementi specifici del Pagliarani successivo: una espugnazione della base psicologistico-intimistica in favore di una oggettività intenzionata (di un senso dell’esterno che a guardare bene si può far risalire senza rischio, tra l’altro, a Carlo Porta: lo ha osservato del resto Vivaldi già nel 1962) e, d’altra parte, una indiziaria distruzione della prevedibilità del “racconto” operata all’interno di strutture peraltro vocazionalmente narrative»3.

Si serve, per questo, dell’ironia, dell’autoironia – più precisamente –, che attraverso la fantasia linguistica, la contestazione e l’opposizione alla rappresentazione “reale”, ma non come finalità («perché l’opposizione agisca da opposizione e abbia i suoi testimoni»)4, ad ogni mimesi della poesia stessa, del poeta stesso («… Poeta è una parola che non uso / di solito…»)5, a significati precostituiti e codificati – pur rimanendo nel quotidiano, ma senza pianto –, lo portano alla “riduzione” dell’io per aprirsi all’impegno per la comunicazione, alla riaffermazione – appunto – della funzione sociale (e politica) della letteratura.

«Le tecniche di scrittura non sono altro che una fedele riproduzione di quei ritmi ossessivi e alienanti che arrivano a corrodere tutto: perfino il ritratto del protagonista (che in tanta letteratura costituisce un elemento imprescindibile del componimento) ha il tono di una pratica burocratica»6:

 

 

I

 

Di  là  dal  ponte  della  ferrovia

una  traversa  di  viale  Ripamonti

c’è la  casa di  Carla, di sua  madre, e di Angelo e  Nerina.

Il ponte sta lì buono e sotto passano

treni  carri  vagoni  frenatori  e  mandrie  dei  macelli

e  sopra  passa  il  tram,  la  filovia  di  fianco,  la  gente  che  cammina

i  camion  della  frutta  di  Romagna.

Chi c’è  nato vicino a  questi posti

non  gli  passa  neppure  per  la  mente

come  è  utile  averci  un’abitudine

Le abitudini si fanno con la pelle

così tutti ce  l’hanno  se  hanno la pelle

Ma  c’è  il momento  che  l’abitudine  on  tiene

chissà  che  cosa  insiste nel circuito

o fa contatto

o  prende  la  tangente

allora  la  burrasca

periferica,  di  terra

il ponte se lo copre e spazza e qualcheduno

può cascar sotto

e i film che Carla non li può soffrire

un  film  di  Jean  Gabin  può dire il vero

è forse il fischio e nebbia o il disperato

stridere  di  ferrame  o  il  tuo  cuore  sorpreso,  spaventato

il  cuore  impreparato,  per  esempio,  a  due  mani

che piombano  sul  petto

Solo pudore non è che la fa andare

fuggitiva  nei  boschi  di  cemento

o il contagio spinoso della mano.

(da  La  ragazza  Carla,  op.  cit.)

 

_____________

1  Da La  ragazza Carla e altre poesie (Mondadori, 1962).

2  P. V. Mengaldo, Elio Pagliarani, in Aa. Vv., Poesia italiana del Novecento, a cura dello stesso, Oscar  Mondadori, 1990, p. 936.

3  G. Luzi, La ragazza Carla e altre poesie di Elio Pagliarani, in «Poesia», n. 9, anno II, Milano, settembre 1989, p. 65.

4  E. Pagliarani, Lezione di fisica, in Poesia italiana del Novecento, a cura di E. Sanguineti, vol. II, Einaudi,  19883, p. 1107.

5  Id., Oggetti e argomenti per una disperazione, ivi, p. 1100.

6  L. Di Lello, La ragazza Carla di Elio Pagliarani. Poesia e frenesia, in «La Cooltura», 17 febbraio 2015.

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