Anno VIII - Numero 3/2022
ASSUNTA SÀNZARI PANZA
Benedetto poièin
Qui si discorre
del grigio del gramo dello spento
di quante fitte al petto
irreparabile follia d’istanti eterni
han condotto al lago ghiacciato
che non scioglie le sue acque lastricate
al sole d’albe nascenti.
Resta attonito l’attimo arcano
sovrano di funeste lotte,
palpiti assenti. Non arretrano
i passi dolenti della colpa
non scavalcano il peso del grumo di sangue.
Il pane essiccato giace sulla tavola muta:
nessun commensale, nessuna vivanda.
I grani di sale rodono il tempo,
tovaglia stesa, stinti i colori dei girasoli.
Di lontano il saluto del padre.
Non si apre la porta:
rimane un blocco di pietre sventrate
da pensieri di carne levata.
Ora è là che rimesta
toni a lungo reclusi,
è la che declina inviti,
depone le armi sulla foto
non ancora ingiallita,
giovane donna-fanciulla
sposa di tempi leggiadri
che attende il momento solenne,
capelli di seta, abito dono di madrefeconda,
ancora una madre, la terza carezza,
la prima fatua reminiscenza di parto.
Inreparabile tempus:
ritorno allo splendore greco
dell’isola incanto superbo colosso.
La nave partiva. Partivano i sogni
con tinte di rosso, un gioco,
un racconto mai perso
sigillato nel rigido inverno
della città d’acque e arte. Urbs picta.
Quella sera la nebbia
un tuffo un coro di voci
teatro di tragedie mai scordate
nebbia soffusa profusa
gabbia di rondini, ostaggio di voli rapiti.
Ora il manto ricopre
il famelico volto d’acciaio
già la pace sovrasta la foschia d’ombre
intirizzite dal fumo d’una gioventù
strappata alla corona ribelle.
I rintocchi del campanile nelle ore
di riposo richiamano l’attenzione.
Fisso lo sguardo sulla cornice
che avvolge le figure, inchioda la mente
sul mancato ritratto del giorno presente.
Le dita trapassano il fiato
orli di canti andati
filastrocche dette ridette
lambiti i ritmi: un passo, due passi, tre,
ancora uno snodo di tempo riverso.
Vincotto nel gelido quadro d’autore
sapore stupore ingorda bocca
la laguna le maschere la danza perpetua
i finti volteggi di colletti inamidati
annodati i nastri scarpe a punta
fini giacche velluto azzurro di tersi spiragli.
I viaggi traversano la mente sopita
orizzonti scolpiti spezzati confini
pagine avvolte dall’aspra radura
arbusti qua là nella non più verde boscaglia,
muta il colore, muta il tocco lieve
si leva la brezza di pace ramata
ma non cessa l’ascolto incessante di voci
virgulti in campane di vetro
come rosa perfetta perenne e rossa.
Una goccia sfiora la seta
s’intravedono trasparenze assottigliate.
Cosa resterà dell’intento di vita?
Pensieri annodati come crine folto
la voce incrinata fa eco nella tiepida
stanza mentre il rombo del chiasmo
appare nei suoi occhi di fuoco,
arde la follia di un mondo
che nemmeno lei comprende
perché troppo esteso.
Cammina sul filo, prova a danzare, barcolla
e intanto ride a labbra serrate,
dal moto feroce del ventre
distillato di brina granelli di puro estro.
Ascolta una canzone: «Ma Coraline
non vuole mangiare, no,
sì, Coraline vorrebbe sparire».
Non spariscono gli occhi di croce:
attendono risposte. Lei non sa
non conosce non vede lontano
forse non può vedere non vedrà
divelta la luce asservita al flebile urto
del respiro ordigno di guerra.
— Àlzati — un grido si leva,
forse un ultimo colpo di lancia
ordisce la brezza del plumbeo raccordo
contro il petto affannato stremato,
spettri si librano in coro.
Si lascia andare, si ferma, lo sguardo
va in fondo al dirupo dilaniato
da fiere volto di pece.
Issata è la bandiera di pace
mentre si volta e vede una bimba:
miraggio acqua viva pianure fertili
la prende per mano le cinge le forme
la stringe non allenta la presa
una brezza potrebbe rapire
il suo passo vago veloce,
avanza le dita incrociate piccole mani
nel palmo racchiusa la forza
guardinga d’un gioco di forza.
Battiti, intensi ticchettii
di pioggia improvvisa
scrosciante tirannia inconsueta
beffarda sinfonia d’artista inascoltato
note d’una musica dìssona
squarci di tenebra.
E sul palco cala il sipario.
Occhi puntati sulla scena invisibile:
nessun attore, nessuna comparsa,
solo il truce gesto
assilla la mente inquieta.
Stanche le braccia attendono
il fiore scarlatto.
Si colma l’attesa, si placa
l’onda dei silenzi,
le note riecheggiano ancora
liriche azione catarsi
l’arsura notturna finalmente
spenta da grafemi salvifici:
benedetto poièin.
* * *
Elmo lucente
Quando infuria la tempesta di pace
la rugiada che libera il respiro
annodato la notte, poi rinfresca
così assopito l’occhio felino.
Si placa anche il ronzio d’ombre fugaci
nelle notti di cera un urlo orante
la crepa profonda squarcia l’abisso
cala il pulviscolo dell’irreale.
A terra pietre roteanti scagliate
famelica furia ventre di terra
ospizio di cori voci inattese.
Passo ingombrante calpesta la scia,
trapassa i contorni l’elmo lucente:
ecco la spira di guerra avvolgente.