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Storia, Cultura e Società

ARTICOLI SULL’UCRAINA

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GUERRA IN UCRAINA. LETTA INADEGUATO

Martedì, 12 Aprile 2022 11:06

 

Neanche una parola sulla necessità di trovare un compromesso fra russi e ucraini

 

Ieri (domenica 10 aprile ndr) Enrico Letta era da Lucia Annunziata in “mezz’ora”. Ha parlato quasi di tutto. Della guerra in Ucraina, dell’aggressione di Putin, dell’Europa, delle elezioni in Francia, dello stato della maggioranza, dell’agenda Draghi ecc.. Alcune cose condivisibili, soprattutto quella sulle nefaste conseguenze sull’Europa di un’eventuale vittoria della Le Pen in Francia. Molte altre meno.

La cosa che più ha colpito è che non ha detto una parola sulla questione principale inerente la guerra: la necessità di trovare un compromesso fra russi e ucraini che metta fine alla guerra e ai suoi orrori quotidiani.

Il leader del Pd si è diffuso sul dovere - sacrosanto per carità - di aiutare gli aggrediti contro gli aggressori. Ma sulla soluzione politica per aiutarli davvero a fermare l’aggressione, ha sorvolato. Cosa che sarebbe stata ovvia e doverosa per un leader appartenente al socialismo europeo perché è proprio di questo che da diverse settimane avrebbero bisogno gli ucraini; e dovrebbe essere proprio l’Europa a farsene carico. Altrimenti ci sono, da una parte, solo le armi degli angloamericani, della Nato e degli europei per gli aggrediti e quelle dell’aggressore dall’altra che continuano a tuonare e ad alimentare insane e vicendevoli illusioni di “vittoria” sul campo, che sono il contrario del compromesso.

Lucia Annunziata, che non è una grande intervistatrice, anzi, non ha incalzato Letta su questo e neanche sull’altro tema spinoso: l’aumento delle spese militari. Quando si fa il giornalista intervistatore, si dovrebbe mordere i polpacci dell’intervistato, soprattutto se è un politico di peso. Sennò, si fa un altro mestiere, quello del tappetino.

Purtroppo, gli sviluppi politico-militari sembrano affidare una possibilità di ripresa seria delle trattative diplomatiche, per altro e per fortuna mai ufficialmente interrotte, a una vittoria di Putin nel Donbass e nella fascia sud dell’Ucraina, e, viceversa, per gli ucraini a una resistenza efficace all’offensiva russa. Sarà un massacro terribile per le popolazioni inermi.

L’invito di oggi di Papa Francesco a una tregua pasquale, appare desolatamente vox clamantis in deserto. In particolare se paragonato a quanto va oscenamente dicendo il Patriarca di Mosca Kirill: la solita union sacrée del popolo dietro al potere autocratico.

Anche in questo momento così drammatico bisognerebbe tenere alta la necessità e la proposta di un compromesso politico, indipendentemente dagli esiti delle operazioni sul terreno militare.

E ieri Letta non è stato all’altezza del compito.

 

Guerra in Ucraina. Le responsabilità americane

Giovedì, 14 Aprile 2022 20:06

Non stendere l’oblio su ciò che è successo prima e sulle concause di errori, sottovalutazioni, opportunismi

Sulla rivista americana Atlantic l’ex Presidente statunitense Bill Clinton scrive – ripreso diffusamente dal nostrano “Corriere della sera” – che “l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, senza nessuna provocazione e senza nessuna giustificazione, lungi dal far sorgere dubbi sulla saggezza dell’espansione della Nato, dimostra che quella politica era necessaria“ per fermare, aggiunge, l’eventuale futuro rinascente “ultranazionalismo” russo.

È singolare che un leader, sia pure ex, della più grande potenza planetaria, gli Usa, uscita vincitrice dal confronto bipolare mondiale con l’avversario russo-sovietico – scioccamente invocato, all’epoca, nientemeno che capo dell’Ulivo mondiale da qualche avventato esponente della sinistra italiana - possa essere così sprovveduto. È proprio questa “confessione” a dirci quanto sia stata sbagliata e miope la politica americana, non solo in Europa nei confronti della Russia ma anche su scala mondiale, complice la sonnacchiosa e grassa Ue. Gli Stati Uniti si sono considerati vincitori all’interno di un mondo divenuto, dopo l’implosione sovietica, unipolare, e, invece, si ritrovano dopo varie disfatte, soprattutto nelle guerre mediorientali, con un globo terracqueo multipolare (Cina) infestato più che mai dai risorgenti nazionalismi anche dentro casa propria: vedi Trump e il trumpismo.

Intendiamoci, ribadisco a premessa di questo scritto che la brutale e pericolosa aggressione di Putin all’Ucraina non ha alcuna giustificazione. Che l’aggressore va fermato e sconfitto nelle sue ambizioni imperiali da “grande russo”, ricondotto a un compromesso che salvaguardi la sicurezza di tutti e la sovranità dell’Ucraina, e che la resistenza ucraina merita ogni sostegno, anche militare. Punto. Ma questo non deve stendere l’oblio su ciò che è successo prima e sulle concause di errori, sottovalutazioni, opportunismi e provocazioni che hanno favorito il risveglio dell’orso russo sotto veste imperial-nazionalista tardo zarista.

Gli è che fra comprensione delle molteplici cause che hanno portato alla guerra in Ucraina con relative responsabilità occidentali, dettate da un atlantismo miope all’ombra della Nato, e giustificazionismo storico dell’aggressione di Putin, il confine è sottile. A volte questo confine viene sorpassato, anche involontariamente, e tutto viene a confondersi e a rovesciarsi.

Vediamo, almeno nei suoi elementi essenziali, come sono andate le cose fin dall’implosione del regime sovietico.

Il decennio di Eltsin, tanto benvoluto in occidente, è considerato dai russi come deleterio. All’interno è stato segnato, sotto il profilo economico, non dal liberismo per quanto selvaggio ma da una vera e propria espropriazione di pezzi interi di economia statale da parte prevalentemente della nomenklatura ex sovietica. Di qui sono nati gli oligarchi, veri e propri novelli boiardi di stato. Un assalto selvaggio ai beni pubblici nelle città e nelle campagne accompagnato da un rapido degrado dello stato sociale. Certo, i negozi desolatamente vuoti in epoca sovietica si sono riempiti di ogni ben di Dio, ma i russi si sono sentititi depredati nelle loro case e nei palazzoni senza più manutenzione, tra ascensori non funzionanti e scale segnate dal degrado, e lasciati in balìa, soprattutto nei centri urbani, delle mafie, della delinquenza di ogni tipo e specie; fenomeni estesi da loro vissuti come conseguenza della nuova libertà “occidentale”. Contemporaneamente, l’ex impero sovietico-russo andava in frantumi, soprattutto sul versante europeo e scoppiavano conflitti nazionalisti nella sua parte asiatica (in Cecenia, in Nagorno Karabakh fra Armenia e Azerbaigian, Georgia, in Moldavia con la Transnistria, fra Ossezia e Abkazia).

I russi hanno sentito tutto ciò come un’umiliazione nazionale e Eltsin come un venditore a prezzi stracciati della Russia agli americani.

Putin si è presentato loro come un restauratore della legge e dell’ordine. Ha messo in riga gli oligarchi, senza mettere mano al liberismo selvaggio con i suoi negozi e i centri commerciali sfavillanti e tutti i luccichii delle imprese occidentali, non ha diminuito le diseguaglianze e le ingiustizie sociali, anzi, ma ha ridato un minimo di sicurezza sociale a russi e, soprattutto, ha restaurato l’ordine nelle città e l’autorità dello Stato. Certo, ne ha ridotto via via l’incerto tasso di democrazia liberale introdotto da Eltsin ma che alla maggioranza dei russi non era gradito rimanendone sostanzialmente indifferenti perché lo confondevano con il disordine e l’insicurezza succeduti all’implosione sovietica. Solo una minoranza urbana, per lo più intellettuale, ha cercato di opporsi, pagandone un prezzo sanguinoso in termini di giornalisti e dissidenti uccisi o fatti sparire. Se non si tiene conto di tutto ciò, non si capisce il consenso di Putin che non è frutto solo di coercizione.

Sul piano internazionale il Putin di oggi non è quello dei primi anni. Le sue profferte e disponibilità di collaborazione con l’occidente euroatlantico espressesi nel vertice di Pratica di Mare del 2002, sono state lasciate cadere nel vuoto. Bisogna riconoscerlo. Lì si era realizzato a un consiglio fra i 19 paesi della Nato e la Russia per la lotta al terrorismo, gestione delle crisi, non proliferazione delle armi di distruzione di massa, controllo degli armamenti e misure di rafforzamento della fiducia reciproca, difesa contro i missili di teatro, operazioni di salvataggio in mare, cooperazione militare e riforma dei sistemi di difesa, piani a fronte di emergenze civili, sfide e nuove minacce. Invece, dopo, gli americani hanno fatto di testa loro andando in giro in Medio Oriente a “esportare la democrazia” e ad allargare la Nato in Europa. Già prima, Clinton medesimo aveva posto agli europei la condizione che ogni nuova adesione all’Ue dovesse essere anche all'Organizzazione militare atlantica.

Il primo allargamento a est della Nato (Polonia, Ungheria, Rep. Ceca) è del 1999. Il secondo, e più massiccio, è del 2004 (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia). La Nato arriva ai confini della Russia. Alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel 2007 Putin fa un discorso ad ampio raggio. Dice che il mondo non è unipolare, che l’unica organizzazione internazionale autorizzata a usare la forza a fini di pace è l’Onu. Parla di collaborazione internazionale per far fronte alle minacce globali (terrorismo, fame), di disarmo ecc.. Al tempo stesso avverte con durezza su quanto sta succedendo in Europa. “Io penso che sia chiaro – dice nel suo discorso - che l’espansione della Nato non abbia alcuna relazione con la modernizzazione dell'Alleanza stessa o con la garanzia di sicurezza in Europa. Al contrario, rappresenta una seria provocazione che riduce il livello della reciproca fiducia. E noi abbiamo diritto di chiedere: contro chi è intesa questa espansione? E cosa è successo alle assicurazioni dei nostri partner occidentali fatte dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia? Dove sono oggi quelle dichiarazioni? Nessuno nemmeno le ricorda. Ma io voglio permettermi di ricordare a questo pubblico quello che fu detto. Gradirei citare il discorso del Segretario Generale Nato, Signor Woerner, a Bruxelles, il 17 maggio 1990. Allora lui diceva che: ‘il fatto che noi siamo pronti a non schierare un esercito della Nato fuori dal territorio tedesco offre all'Unione Sovietica una stabile garanzia di sicurezza’. Dove sono queste garanzie? “.

Certo, alle spalle aveva la guerra spietata in Cecenia, la distruzione di Grozny e il progressivo giro di vite illiberale e autoritario in corso all’interno della Russia. Ma dall’altra parte c’era l’intervento Nato in Afghanistan e quello dei “volenterosi”, Usa-GB-Spagna, in Irak, promosso a dispetto dell’opinione pubblica internazionale e senza la copertura dell’Onu. Inoltre, poiché con la caduta dell’Urss veniva meno il messaggio universale della Rivoluzione d’ottobre e del comunismo, Putin ha ripiegato sul nazionalismo “grande russo”, sulle tradizioni zariste e sulla retorica retrograda e antilluminista della “Grande madre Russia”.

Il discorso di Monaco del 2007 è il contrario di quello del 22 febbraio 2022 intriso di nazionalismo “grande russo” e non a caso anticomunista e antileninista. Di mezzo ci sono gli ulteriori allargamenti della NATO: Albania e Croazia nel 2009, Montenegro nel 2017, Macedonia del nord nel 2020. Nel frattempo l’Unione europea si allargava ma non s’accorgeva di tante cose, fra cui ciò che bolliva nella pentola del nazionalismo russo.

Questo, succintamente, per la storia. Ma poi c’è la situazione di oggi.

Quando si crea una coalizione così vasta contro un aggressore, l’interesse comune è quello di batterlo. Ma non sempre il “come” è uguale per tutti. Dipende di solito dai fini strategici. Per americani e inglesi, nonostante quel che dicono, non prevale l’amore per la libertà e la democrazia ma un interesse strategico: logorare il più possibile Putin che ha commesso l’errore della guerra. L’obiettivo per loro è far durare la guerra e per questo parlano di vittoria di “genocidio” in corso e di destituzione del “macellaio” Putin. L’interesse degli europei e degli ucraini - sempre che Zelenskj se ne renda conto, stretto com’è fra gli efficacissimi aiuti militari angloamericani e il terminare al più presto il conflitto che sta distruggendo il suo paese - è quello che la guerra cessi subito per tanti motivi, anche economici. La trattativa per un compromesso che salvaguardi la sicurezza di tutti, Russia e Ucraina, e l’indipendenza e la sovranità degli ucraini, dovrebbe essere l’obiettivo della Ue che però non riesce ad esprimerlo attraverso un’iniziativa e una proposta di soluzione adeguata anche per le divisioni interne dovute a tanti interessi nazionali e, soprattutto, alle rispettive collocazioni geografiche: a est o a ovest.

Poi c’è la Cina. È preoccupata per molte ragioni, soprattutto economiche. Ma se non si muove è anche perché non si muove l’Europa.

 

IL MIELI SCONTENTO

Sabato, 16 Aprile 2022 11:38

 

La scelta è: atlantismo Nato o europeismo? E Mieli, sta sempre con il primo

 

 

Paolo Mieli non è contento di come si sta comportando l’Europa nella guerra di aggressione di Putin all’Ucraina. Ieri lo ha scritto, esacerbato, sul suo giornale, il “Corriere della sera”. Oddio, non è che sia scontento di tutta l’Europa perché in questo frangente condivide le angosce, comprensibili per carità, di Norvegia, repubbliche baltiche, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia - esclusa la prima le altre o ex sovietiche o ex Patto di Varsavia – ma è scontento solo di Francia, Germania, parecchio dell’Italia, un po’ della Spagna. È contento, invece, che Svezia e Finlandia chiedano di entrare nella Nato, forse un po’ avventatamente, dice, ma è meglio che “mettersi nelle mani dell’Europa” che si sta dimostrando così imbelle. Peccato perché, continua, gli “Era parso agli inizi che i Paesi dell’Europa unita tenessero a mostrarsi all’altezza della situazione. Ora che non c’era da fare i conti con soldati inviati dall’America”. Dimentica di dire, naturalmente, che quei soldati sono in buon numero già presenti con la Nato fra noi.

Insomma, anche se non lo mostra chiaramente perché, come cantava Guccini degli opportunisti, “non si sa mai”, è infuriato con tutti quei paesi che non ballano al suono del corno di guerra americano e inglese. Sperava, finalmente, che l’Ue avrebbe approfittato “dell’occasione per accelerare i tempi di costituzione degli Stati Uniti d’Europa. E per dar vita ad un piccolo ma efficiente esercito europeo. Quantomeno un embrione”, invece “si ha persino la percezione – costata affranto - che il sostegno alla causa di Zelensky non sia più quello dell’inizio”.

Questo cupo inverno del proprio scontento che avvolge Mieli è solo perché qualcuno - Macron, Sholz – si dimostra restio a seguire la linea di Biden che non è quella della ricerca del compromesso e dell’accordo con la Russia per far finire al più presto la guerra e l’aggressione con la salvaguardia dell’indipendenza e della sovranità dell’Ucraina, ma del logoramento di Putin che significa far cuocere l’orso russo nel brodo della propria avventura. Forse anche Zelensky dovrebbe rendersene conto ed essere più lucido e sobrio nonostante l’aggressione di Putin e le armi americane e inglesi di cui ha bisogno per respingerla.

Gli Stati uniti d’Europa, con una sua Difesa e tanto altro, che Mieli sperava di veder nascere, dovrebbero servire a rendere la Ue autonoma, amica dell’America e anche di una Russia deprivata del nazionalismo “grande russo”, fattore di pace su scala mondiale, non sottomessa agli interessi strategici statunitensi che già tanti danni hanno fatto in Medio Oriente e in giro per il mondo.

La scelta è sempre quella: atlantismo Nato o europeismo. E Mieli, ça va sans dire, sta sempre con il primo.

 

 

DRAGHI SENZA EUROPEISMO

Martedì, 19 Aprile 2022 17:46

 

L'UE non dovrebbe diventare protagonista sul piano diplomatico?

 

 

A Pasqua il Presidente Draghi ci ha regalato un’intervista al “Corriere della sera”. A intervistarlo è stato, come si conviene in questi casi, il direttore Luciano Fontana che ha rilevato che era la prima volta che Draghi si concedeva in un’intervista ad un giornale dopo 14 mesi di governo. Oddio, non che Draghi sia stato silente, ha parlato tante volte in Parlamento e in Conferenze stampa sugli avvenimenti correnti e sui provvedimenti del suo governo per fronteggiarli. Inoltre, i suoi trombettieri di vario grado e colore non hanno mai smesso nei mass media di esaltarlo acriticamente anche quando non parlava, arrivando perfino a toni così irenici da risultare ridicoli e dannosi per l’oggetto stesso di tanta apologia.

Non è qui il caso, se non altro che per ragioni di sinteticità, di diffondersi e analizzare tutte le risposte e le posizioni di Draghi che, comprensibilmente, cerca di difendere quanto fatto dal governo in molti campi: economico, pandemia, guerra in Ucraina. Rilevo solo che sul piano economico, dall’approvvigionamento energetico alle sanzioni, dal Pnrr alle riforme fiscali, concorrenza, giustizia ecc., l’azione del governo appare non adeguata alla situazione creatasi. Con la guerra di aggressione di Putin all’Ucraina, detta situazione sta avendo conseguenze dirompenti sui livelli di vita di lavoratori, pensionati e ceti popolari e medi a causa dell’inflazione che se già prima aveva ripreso a galoppare ora va a spron battuto.

Quello che più colpisce nell’intervista di Draghi è la questione della guerra. Non per la difesa di quanto il governo ha fatto e sta facendo sul piano economico, delle sanzioni, degli aiuti anche militari, che certo non manca nelle parole del Presidente, ma per l’arrendevolezza fatalistica sull’immediato futuro. “Quello che ci aspetta – afferma ‘supermario’ - è una guerra di resistenza, una violenza prolungata con distruzioni che continueranno”.

La colpa di ciò è di Putin, tant’è che, dice Draghi, “Comincio a pensare che abbiano ragione coloro che dicono: è inutile che gli parliate, si perde solo tempo”. Ora che in questi 53 giorni di guerra Putin non abbia mostrato una grande volontà di trattare, è vero. A sentire alcuni esperti in materia, anche quelli che sulla guerra hanno posizioni diverse, forse aspetta di conseguire risultati militari tattici più tangibili sul terreno per sedersi al tavolo della trattativa. A quanto pare quelli strategici – conquista di Kiev e spodestamento di Zelensky – non li ha conseguiti nei tempi brevi che credeva e sperava.

Ma il problema politico non è quel che pensa e fa Putin di riprovevole e di orribile, cosa quotidianamente evidente, è quello che non fa l’Europa sul piano dell’iniziativa politica e della proposta per una soluzione di pace che contribuisca a costringere l’autocrate russo alla trattativa.

A ciò, Draghi manco accenna. Si domanda, è vero, “Qual è il modo migliore per aiutare il popolo aggredito?” ma la risposta è solo le sanzioni e l’invio di armi. Piuttosto poco. Certo, Draghi si aggrappa alla volontà dei leader europei, quelli che contano almeno, che non ci sarà un coinvolgimento dell’Europa e a quella di Biden, un po’ aleatoria, che la Nato se ne starà a guardare limitandosi all’invio di armi. E fa bene il Presidente ad aggrapparsi, ma sempre poco è rispetto all’urgenza di far finire la guerra.

Che a un europeista come lui venga meno in questo momento proprio l’europeismo la dice lunga sulle incertezze e le debolezze dell’uomo proprio sul suo terreno privilegiato. L'Ue non può limitarsi alle sanzioni economiche, agli invii di aiuti umanitari e di armi, all’accoglienza dei profughi, a vagheggiare di vittoria militare ucraina, a litigare sul calmieramento del prezzo del gas e quant’altro, e sul piano politico solo a predisporsi con favore ad accogliere l’Ucraina nell'Ue con gesti simbolici e voti dell’europarlamento.

L’Unione europea deve diventare protagonista sul piano diplomatico direttamente o indirettamente della soluzione di pace, indicandone almeno le grandi linee incentrate sulla neutralità dell'Ucraina, sulle garanzie reciproche con la Russia, sulla difesa della sovranità nazionale degli ucraini.

È qui che l’Italia deve avere un ruolo propulsivo e propositivo che Draghi non sembra percepire. Anche perché il nostro paese è stato chiamato in causa come eventuale garante della sicurezza ucraina. Altrimenti c’è solo l’atlantismo oltranzista a tenere campo; e con quello non si va alla pace mentre si può andare all’escalation nucleare.

Oppure c’è la rassegnazione alla “guerra continua” che non è nell’interesse dell’Europa, almeno dei suoi paesi fondatori o più occidentali, del mondo extraeuropeo e degli ucraini stessi che sono quotidianamente ammazzati da Putin. Forse è nell’interesse strategico degli angloamericani e delle scadenze elettorali di Biden.

Ma a questi interessi bisogna mettere un freno.

 

 

E BRUTO È UOMO D’ONORE

Giovedì, 21 Aprile 2022 10:36

 

 

...“il troppo stroppia” e può diventare un boomerang

 

Ricordate nel “Giulio Cesare” di Shakespeare la tecnica usata da Marco Antonio nell’orazione sulla morte di Cesare? Un capolavoro. Cominciava col dare credibilità e rispetto alle buone intenzioni dei cesaricidi – “e Bruto è uomo d’onore” – e finì col rivoltargli contro il popolo che all’inizio era incerto fra l’amore per Cesare e le ragioni di Bruto e Cassio. Certo il nostro Marco, intendo Travaglio, non ha di quelle altezze ma la tecnica, per la verità molto più grossolana, che usa per accattivarsi i lettori e demolire gli avversari è su per giù la stessa.

Il suo nemico giurato è Draghi, considerato usurpatore di Conte. Più di quanto Conte stesso non dica. All’inizio era solito concedergli l’aureola di esperto e probo uomo prestato alla politica, per poi demolirlo, non senza qualche ragione, via via che il suo governo procedeva. Solo che l’ossessione anti draghiana può portare a esagerare e a non scalfire il personaggio. Come dice il proverbio: “il troppo stroppia” e può diventare un boomerang.

La tecnica antoniana-shakespeariana Travaglio l’ha usata nella faccenda dei vaccini. Ha sempre premesso che lui il vaccino se l’era fatto, poi, però, sollevava tutta una serie di dubbi, - "ai figli manco con la pistola puntata alla tempia" disse - perplessità e contrarietà sui provvedimenti del governo in materia, sbeffeggiando in continuazione il povero generale Figliuolo, che alla fine le ragioni dei no vax erano più che giustificate, quasi condivisibili. Tutto ciò pur di dare addosso a Draghi. La professoressa Viola lo ammutolì, smontandolo, in Tv. “Marco Travaglio ha una dialettica eccezionale, - disse - sarebbe in grado di vendermi un’auto che cade in pezzi e io la comprerei sicuramente”.

Con Putin e la sua aggressione all’Ucraina pressappoco è lo stesso. Per carità, dice il nostro, lui è contro l’aggressione (e Bruto è uomo d’onore) ma poi usa tante perplessità, dubbi e contrarietà – alcune più che giustificate compresi i precedenti espansionistici della Nato a est - che alla fine la verità si rovescia. Non è più l’aggressione la causa della guerra ma gli ucraini che resistono e se lo fanno è perché vengono riforniti di armi da “Usa e Uk e ora pure dall’Ue”.

Ieri, per esempio, nella sua foga che è antiamericana occasionalmente perché serve a dare addosso a Draghi che è il suo vero obiettivo, prende per buone le teorie militari di alcuni suoi esperti. Non è vero che Putin ha trovato una resistenza che non si aspettava, dicono, quella su Kiev è stata solo una finta, non è vero che voleva disarcionare Zelensky, voleva solo il Donbass e il corridoio sud sul Mar nero che prenderà, per l’autocrate del Cremlino è solo una guerra regionale ecc., perciò le cose militari per Putin vanno, se non a gonfie vele, certamente secondo i programmi. Quindi, niente illusioni, la trattativa non dipende da lui ma dagli altri, in particolare dagli europei che latitano. E qui ha ragione, ma a metà perché Putin al tavolo non si siede se non vi è costretto non solo dall’iniziativa diplomatica che è assente ma anche da eventuali insuccessi militari sul terreno.

Certamente la trattativa vera non si aprirà con l’umiliazione di Putin. Bisognerà almeno concedergli diplomaticamente che non è caduto da cavallo ma solo che voleva scendere. Marco Travaglio si è già predisposto. Il resto seguirà.

Speriamo.

 

SE LA CINA SI MUOVE

Lunedì, 25 Aprile 2022 17:23

 

La sicurezza globale della Cina

 

Giovedì scorso Xi Jinping ha fatto un discorso importante. Essendo uno dei player mondiali – qualcuno sostiene addirittura che l’attuale guerra in Ucraina sia solo uno scontro per interposte persone, Zelensky e Putin, con sullo sfondo il vero confronto strategico fra americani e cinesi – sarebbe doveroso ascoltarlo o, almeno, darne adeguata notizia. Invece sulla stampa nostrana, nella quale, domina il provincialismo più mediocre, non c’è stata molta attenzione. Di più di larghe vedute era l’indimenticabile Alberto Sordi nel film del 1960 di Luigi Zampa: “Il vigile”. Rammento una delle battute iniziali: “Che se move la Cina? Quelli so’ come ‘e formiche, seicento milioni di cinesi, se se movono quelli noi che famo?”
Già, noi che facciamo? Ed era la Cina di Mao, del “grande balzo”, dell’ “imperialismo tigre di carta” che non escludeva la guerra nucleare su cui costruire le sorti magnifiche e progressive del socialismo. Quanto mutata, per fortuna loro e nostra, da allora!
A riportare succintamente il discorso del leader cinese è il sito di Limes con un commento di Niccolò Locatelli.

La sicurezza globale della Cina

“Il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping è intervenuto in videoconferenza alla cerimonia d’apertura del Forum di Boao per l’Asia 2022 (la cosiddetta ‘Davos dell’Asia’). Nel suo discorso, ha proposto un’iniziativa di sicurezza globale.

Perché conta: Il discorso di Xi segna un punto di svolta. Negli ultimi due mesi, dall’invasione dell’Ucraina in poi, Pechino è stata costretta alla ricerca di un difficile equilibrismo tra l’amicizia ‘senza limiti’ con Mosca e la constatazione che Putin ha violato uno dei cardini della politica estera cinese, ossia il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale degli altri Stati.

Le parole del presidente cinese indicano la conclusione della fase difensiva e l’inizio dell’offensiva diplomatica. Il destinatario primario del messaggio di Xi sono gli Stati Uniti, che pure – al pari della guerra d’Ucraina – non vengono mai menzionati.
Respingere la ‘mentalità da guerra fredda’, le ‘sanzioni unilaterali e i doppi standard’ significa respingere l’agenda internazionale di Washington. La convinzione espressa da Xi che 'il disaccoppiamento, l’interruzione delle forniture e la pressione massima siano destinati a fallire' riflette la preoccupazione cinese per le misure ad hoc prese contro la Cina dall’allora presidente Usa Donald Trump e confermate dal suo successore alla Casa Bianca Joe Biden.

Multilateralismo, consultazione e il concetto (fumoso) di ‘sicurezza indivisibile’ sono invece i principi che giustificano la nascita di un’architettura securitaria globale. Xi crede che sia necessario adottare un approccio basato sui popoli e tenere in considerazione le esigenze dei paesi in via di sviluppo, dalla ripresa economica alla distribuzione dei vaccini contro il Covid-19.

Se non rimarrà lettera morta, l’iniziativa di sicurezza globale è per Xi una scommessa tanto affascinante quanto rischiosa: può essere la gamba politica delle nuove vie della seta e ampliare lo status internazionale di Pechino. Ma può anche costringere la Cina a sovraesporsi, alzando – forse troppo presto – il livello del confronto con gli Stati Uniti”.

Ecco noi, italiani ed europei, che facciamo o, almeno, che diciamo?

 

 

SUSLOV AMMETTE: DUE SCUOLE DI PENSIERO AL CREMLINO

Lunedì, 25 Aprile 2022 17:42

 

Da un'interessante intervista del Corsera a cura di Paolo Valentino a Dimitrij Suslov

Venerdì sul “Corriere della sera” interessante intervista a cura di Paolo Valentino a Dimitrij Suslov che dirige il Centro di studi europei e internazionali presso la Scuola superiore di Economia russa, uno dei pensatoi del Cremlino. Il suo cognome fa un certo effetto a uno della mia età. Non so se ci sia una parentela con un altro Suslov che ai tempi dell’Urss e del Pcus era il sacerdote dell’ortodossia sovietica nel politburò e a noi italiani del Pci di Berlinguer ci considerava non meno che eretici.

Perché è interessante l’intervista del prof. Suslov? Perché rivela cose che prima erano solo intuibili, la presenza di falchi e colombe al Cremlino, e fornisce gli estremi per una possibile trattativa per porre fine alla guerra in Ucraina. “Al Cremlino ci sono attualmente due scuole di pensiero – dice - e il presidente non ha ancora scelto. La prima, che definirei massimalista, dice che occorre infliggere una sconfitta pesante all'Ucraina nel Donbass e poi occupare la restante parte meridionale del Paese, incluse Odessa e Nicolaev, tagliandone l'accesso al mare e stabilendo una connessione diretta con la Transnistria, dove c'è anche un'altra popolazione russofona oppressa. La seconda scuola, alla quale appartengo, obietta che questo richiederebbe molte più risorse, prolungherebbe la guerra e renderebbe più difficile per l'Ucraina e l'Occidente accettare l'occupazione russa del Sud”.

Secondo Suslov e la“scuola moderata”del Cremlino, dopo la vittoria nel Donbass l’accordo dovrebbe basarsi“sui termini della nostra offerta originaria: neutralità, cioè rinuncia alla Nato; demilitarizzazione inclusi limiti alla cooperazione strategica con l'Occidente e al tipo e quantità di armamenti in possesso dell'esercito ucraino; status della lingua russa; bando dei partiti di estrema destra nazionalista; riconoscimento ufficiale dell'annessione della Crimea e dell'indipendenza del Donbass. Odessa e Nikolaev rimarrebbero ucraine e i russi si ritirerebbero dal territorio di Kherson, attualmente occupato”. Quindi prosegue: “Noi pensiamo che sia interesse della Russia finire questa guerra vittoriosamente ma anche il più rapidamente possibile. La scuola massimalista invece non ha paura di una guerra protratta, non cerca alcun riconoscimento dall'Occidente”.

Secondo Suslov non erano questi i piani iniziali di Putin. Che lui stesso del resto aveva descritto con un certo entusiasmo, sempre al “Corrierone“, il giorno dopo l’aggressione. “Non c'è dubbio – dice - che il cambio di regime fosse nei piani originali dell'invasione. Non ha funzionato. E oggi non è più considerato perseguibile dalla Russia. L'assunzione iniziale, che l'Ucraina sarebbe crollata come un castello di carte senza opporre resistenza, si è rivelata errata. L'esercito ucraino ha opposto una resistenza impressionante, aiutato massicciamente dall'Occidente. Direi che questa è la ragione principale della capacità di resistere così a lungo. L'esercito russo non sta combattendo contro l'Ucraina ma contro la Nato, che non solo consegna armi e munizioni, ma fornisce informazioni preziose di intelligence”.

E come la prenderebbe il Cremlino l’ulteriore fornitura occidentale di armi pesanti agli ucraini? “Ci sarebbe – dice Suslov- un cambiamento sostanziale nell’ atteggiamento della Russia. All'inizio era un conflitto per Ucraina. Ma ora è una guerra per la Russia. In ballo è la sopravvivenza della Russia come grande potenza e il suo status negli affari internazionali. Tutti in Russia sono convinti che stiamo combattendo una guerra contro l'Occidente. Non c'è altra opzione che la vittoria. Se perdessimo, sarebbe peggio della fine dell'Urss nel 1991. Ecco perché l'impatto delle armi fornite a Kiev e della retorica occidentale è già stato di alzare la posta in gioco, trasformando la natura della guerra. Ora non possiamo perdere”.

A parte alcune cose che dice il professore molto discutibili e inaccettabili, le altre andrebbero prese sul serio. Tanto sul serio che c’è da interrogarsi sulla natura stessa dell’intervista; sulla libertà e lo scopo di certe affermazioni soprattutto in riferimento al fallimento dei piani iniziali del Cremlino e di un Putin che deve decidere fra“falchi”e“colombe”. Sono un messaggio da parte delle“colombe”russe a quelle occidentali? Perché anche in quest’altra parte del campo c’è chi, come inglesi e americani, hanno gli stessi intenti della scuola massimalista russa: prolungare la guerra. Con obiettivi diversi e opposti ma al momento convergenti.

SOLO ARMI PER L’UCRAINA?

Lunedì, 02 Maggio 2022 14:38

 

La guerra in Ucraina si addentra in una spirale perversa


Più giorni passano e più la guerra in Ucraina si addentra in una spirale perversa segnata dall'escalation di parole, minacce e clangore di armi. Tuttavia bisogna sforzarsi di cogliere ogni elemento che possa portare l'aggressore al tavolo delle trattative prendendo spunto da quanto dice di volere. In questo c'è un interesse dell'Europa che però non riesce a esprimerlo attraverso un'iniziativa politica e una proposta di accordo, o, almeno, il disegno di una sua cornice possibile, distinguendosi dall'interesse americano dominante nella Nato a far logorare Putin nell'avventura e nell'aggressione da lui iniziate.

A dividere potenzialmente l'Europa, almeno la sua parte più occidentale, dall'America di Biden e dalla Gran Bretagna di Boris Johnson, divenuta più zelante del re, è, come ormai assodato, un interesse strategico e geopolitico diverso. La prima è vitalmente interessata alla conclusione della guerra, gli angloamericani a prolungarla. E questo si riflette sull'obiettivo strategico. L'Europa dovrebbe voler battere l'aggressore senza umiliarlo, costringendolo a un compromesso per lui e per la Russia, potenza nucleare, accettabile, che salvaguardi l'indipendenza e la sovranità dell'Ucraina; gli angloamericani, invece, dicono a gran voce di voler dare una lezione a Putin tale da scalzarlo dal trono autocratico su cui è seduto. Senza curarsi più di tanto che così facendo e dicendo rinsaldano ancor più attorno a lui il consenso di cui gode tra i russi, e non solo perché sono disinformati dal regime illiberale, il che è vero, ma anche perché è molto vivo tra loro il senso dell'accerchiamento fin dai primi anni dell’Urss che l'espansione sconsiderata della Nato a est degli ultimi vent'anni non ha fatto che rinfocolare.

 

Ma vediamo i fatti più rilevanti di questa settimana che sta per concludersi.

 

Martedì Guterres incontra Putin al Cremlino. Non è un successo. L'autocrate dice che l' "operazione speciale" non può che concludersi con l'acquisizione della Crimea e del Donbass. Non parla di corridoio sud. Naturalmente di Putin non ci si può fidare, le bugie e la menzogna sono insite nella dirigenza russa anche quando era sovietica. Berlinguer diceva che i dirigenti comunisti russi mentivano sempre, anche quando non ne avevano la necessità, così come l'agricoltura non funzionava e le caramelle si attaccavano alla carta. Erano le tre leggi del socialismo reale. Tuttavia Putin ha detto che Donbass e Crimea, sono i suoi obiettivi. Non ha neanche sollevato la neutralità dell'Ucraina. Intanto si parta da quel che ha detto. Zelensky disse che di Donbass e di Crimea si poteva discutere. Certo Putin non può pretendere che l’accettazione dell’annessione di Donbass e Crimea sia la precondizione per iniziare la trattativa con Zelensky o per un immediato cessate il fuoco.

Lo stesso giorno gli Stati Uniti convocano ben 40 paesi a Ramstein in Germania. Non solo paesi della Nato ma anche alleati extra: Giordania, Israele, Liberia, Marocco, Kenya e Tunisia, Svezia, Finlandia, Australia, Nuova Zelanda. Tutti a bordo per indebolire Mosca. Non esce dal raduno una volontà di pace e di trattativa ma solo di propaganda al suono di più armi all'Ucraina fino alla vittoria che spazzi Putin e umili la Russia. Per ricambiare Putin bombarda Kiev con due missili mentre c’è il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres in visita da Zelensky. La guerra sta diventando sempre più una sfida fra Usa e Russia, l’Europa sta in mezzo e ne è sempre più schiacciata. L'altro ieri Biden ha annuciato un maxi stanziamento di ben 33 miliardi di dollari di cui 20 solo di armi moderne e sofisticate.

 

E l'Italia?

 

Il giorno dopo Ramstein il Presidente Mattarella parla al Consiglio d'Europa. I suoi toni, i suoi richiami alla Conferenza per la sicurezza dell’Europa del 1975 a Helsinki – “Bisogna prospettare una sede internazionale che restituisca un quadro di dignità a sicurezza e cooperazione, sul modello della Conferenza di Helsinki del 1975. Si tratta di affermare con forza il rifiuto di una politica basata su sfere di influenza, proclamando invece la parità di diritti e l’uguaglianza per popoli e persone” - le sue indicazioni di un mondo fondato sul multilateralismo e sulla cooperazione sono diverse e opposte a quelli uscite da Ramstein. “Dialogo, - dice - non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali”. Non c’è nelle sue parole giustificazione per l’aggressione di Putin o una qualche ritrosia a sostenere la resistenza dell’Ucraina in tutti i modi, ma non c’è l’oltranzismo atlantico di tanti epigoni con l’elmetto di casa nostra. Costoro, sui giornali atlantici, mostrano un certo imbarazzo a darne notizia e a commentarlo. Potremmo dire che Mattarella dà la cornice politica a quella che dovrebbe essere la posizione del governo italiano in questa fase della guerra e anche la piattaforma su cui dovrebbe muoversi l’Unione europea. Non a caso il discorso è a 46 membri del Consiglio, praticamente a tutta l’Europa, salvo la Russia.

Draghi non potrà non tenerne conto quando dovrà presentarsi, al più presto, in Parlamento a riferire qual è la posizione dell’Italia in questo momento. Prima di andare a Washington da Biden e a Kiev da Zelensky; non dopo.

La posizione è solo di mandare armi alla cieca senza obiettivi diplomatici di trattativa e di pace?

Il leader dei pentastellati Giuseppe Conte ha sollevato la questione in modo esplicito. Altri nella maggioranza e nelle forze politiche che ne fanno parte hanno espresso disagio. Nel Pd anche Delrio dice che “è il momento di dare forza alla politica e alla diplomazia, non alla forza delle armi”. E tanti altri con lui.

 

Non hanno torto.

 

 

I MENTECATTI

 

Martedì, 03 Maggio 2022 11:00

 

 

Ma che notizie circolano nell'informazione italiana?


Purtroppo il degrado generale della politica e del giornalismo, favorito anche dal tempo che passa, produce sempre più mentecatti della serie “la madre dei cretini è sempre incinta”. Massimo Fini è tra questi. All’interno di un articolo vergognoso che è un monumento d'ignoranza e di revisionismo storico, ha scritto su “il Fatto Quotidiano” diretto da Travaglio che “Gli occupanti in Italia non erano i tedeschi, ma gli Alleati. E l’esercito tedesco, a parte alcune azioni efferate, veri crimini di guerra a opera dei reparti speciali, le SS (Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema in testa), in Italia si comportò con correttezza“. Non si ha notizia di contestazioni da parte di Travaglio, Scanzi, Padellaro e Gomez.

Più raffinato ma egualmente confuso, per usare un benevolo eufemismo, il prof. Orsini venerdì scorso ad Accordi&Disaccordi. Volendo dare addosso alla Nato, cosa che si può fare benissimo con una miriade di altri argomenti, si è addentrato sul terreno della storia con effetti a dir poco deprimenti ed esilaranti insieme. “Hitler non aveva intenzione di far scoppiare la seconda guerra mondiale. – ha detto -. Quello che è successo è che i Paesi europei hanno creato delle alleanze militari, ognuna delle quali conteneva un articolo 5 della Nato, cioè un articolo che prevedeva nel caso di attacco di un Paese straniero che tutti i membri della coalizione sarebbero entrati in guerra”. Aggiungendo che “quello che successe è che il 1 settembre del ’39 la Germania invase la Polonia: Inghilterra e Francia si erano alleati con la Polonia e si creò un effetto domino, a cui Hitler non aveva interesse e che Hitler non si aspettava nemmeno che scattasse”. Insomma, il povero Adolf in guerra ci è stato tirato per i capelli da quei cattivoni di Francia e Gran Bretagna.

 

C’è un elemento di verità in questo delirio che rovescia la verità storica, ed è che Hitler non s’aspettava che francesi e britannici avessero quella reazione. Solo che Orsini se ne dimentica. Infatti, dopo che lo avevano lasciato riarmarsi ben bene, riprendersi la Renania (’36), intervenire in Spagna (’36-’39), insieme al suo sodale Mussolini, a sostegno del fascista Franco – mentre loro stettero a guardare e solo l’Urss mandò aiuti in armi e vettovaglie -, annettersi l’Austria (marzo ’38), fare il colpo grosso a Monaco (settembre ’38) prendendosi i Sudeti, complice la remissività anglofrancese, il buon Adolf pensò che avrebbero ingoiato anche l’aggressione plateale alla Polonia fatta con il pretesto di Danzica. Sennonché, come è noto ai più meno che al prof. Orsini, con la Cecoslovacchia esagerò perché dopo i Sudeti si prese tutto il resto ed entrò a Praga (16 marzo ’39) facendo inalberare Chamberlain, dato che il nazista era venuto meno a quella parola e a quelle assicurazioni scritte nel foglietto che il premier l’inglese aveva trionfalmente sventolato al ritorno da Monaco. E lì scattarono le garanzie per la Polonia (31 marzo ’39).

E Stalin, lasciato con una mano davanti e una di dietro a Monaco, si dispose a fare il patto con Hitler. Inoltre che Hitler volesse la guerra lo aveva già detto ai quattro venti e scritto sul suo delirante Mein Kampf. Ma il prof. Orsini che ne sa?

 

Mentre diceva le sue sovrane sciocchezze, Travaglio lo seguiva impassibile e il simpatico Luca Sommi era attanagliato dall’imbarazzo. Nessuno dei due, però, ha avuto il coraggio di dire a Orsini “ma che stai a di’”.

 

Perciò, come disse Petrolini al disturbatore del loggione, “io nun ce l’ho co’ te, ma co’ chi te sta vicino e nun te butta de sotto”.

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