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Storia, Cultura e Società

27 GENNAIO

NON DIMENTICARE

CONTRO OGNI REVISIONISMO

di Francesca Gentili

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Il ventisette gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberano il campo di concentramento di Auschwitz e, per la prima volta, il mondo scopre l’orrore del genocidio nazi-fascista. Ed proprio il ventisette gennaio è la data che l’Onu ha scelto per ricordare e commemorare le vittime del nazismo e dell’olocausto: il Giorno della memoria. Una memoria, la nostra, spesso timida, distratta, a volte indifferente, che per questo deve sempre essere allenata, perché quel che è successo non solo non deve essere mai dimenticato, ma deve essere un monito perché non accada mai più. La città di Auschwitz, divenuta il simbolo dello sterminio degli ebrei, è la metafora del male assoluto, dell’umanità violata dalla violenza del nazismo. Una violenza tanto inaudita da non permettere di essere compresa ma solo condannata. Una violenza che comprende anche le leggi razziali approvate sotto il fascismo. Sappiamo che questa ricorrenza troverà sempre oppositori; sarà divisa fra chi vuole ricordare e chi, al contrario, vuole semplificare la storia senza entrare nei dettagli, nascondendo e sottovalutando le responsabilità.

 

Auschwitz è la denominazione della città di Oswiecim, in Polonia meridionale, dove, a partire dalla primavera del 1940, si è cominciata la costruzione di un campo di quarantena e di smistamento per prigionieri polacchi, trasformatosi poi in lager destinato agli ebrei. La costruzione del campo di concentramento, attorno al quale sorgono altri campi di sterminio minori, è stata un’idea del comandante supremo delle SS e della polizia politica Heinrich Himmler. L’esecuzione dei lavori, invece, è stata affidata all’ufficiale nazista Rodolf Hoss che, con fredda precisione regolerà in seguito la macchina dello sterminio con i suoi rituali: la preparazione e l’ingresso nelle camere a gas e le macabre operazioni successive, dal taglio dei capelli all’estrazione dei denti d’oro. “La gasazione – ha testimoniato Hoss a Norimberga – veniva effettuata nelle celle di detenzione del block II. Io stesso, proteggendomi il viso con una maschera antigas, assistetti all’uccisione. La morte sopravveniva nelle celle stipate, subito dopo l’immissione del gas. Un breve grido, subito soffocato, e tutto era finito. Ricordo la gasazione di 900 Russi nel vecchio forno crematorio: i Russi vennero obbligati a spogliarsi nell’anticamera, e poi entrarono tutti tranquillamente nella camera mortuaria, dove era stato detto loro che sarebbero stati spidocchiati. La porta venne sbarrata e dalle aperture venne fatto entrare il gas. Non so quanto sia durata questa uccisione, ma per un certo tempo si intese ancora un ronzio, alcuni uomini cercarono di forzare le porte che però non cedettero. Parecchie ore dopo fu riaperta la porta e vidi numerosi uomini gasati”.

“Nella primavera del 1942 – ha proseguito l’ufficiale nazista – giunsero i primi trasporti di ebrei dall’Alta Slesia, tutti individui da sterminare. Gli ebrei dovettero spogliarsi. All’inizio entrarono tranquillamente nelle sale dove dovevano subire la disinfestazione, ma in breve alcuni cominciarono ad agitarsi e a parlare di soffocamento, di sterminio. (…) Quando cominciavano i disordini, gli elemneti turbolenti venivano portati dietri la casa senza dare nell’occhio e qui uccisi con armi di piccolo calibro, affinché gli altri non si accorgessero di nulla. Era della massima importanza che tutta l’operazione dell’arrivo e della svestizione avvenisse con tutta calma. (…) Molte donne nascondevano i bambini lattanti nei mucchi di abiti, credendo che la disinfestazione potesse essere nociva ai piccoli. Ho notato spesso che le donne le quali intuivano o addirittura sapevano ciò che le attendeva, pur con l’angoscia della morte negli occhi, trovavano la forza di scherzare con i figli, di parlargli amorevolmente. Una volta una donna mi venne incontro e mi disse: “Come potete avere il coraggio di ammazzare questi bambini? Ma non avete un cuore nel petto? – un altro, un vecchio, nel passarmi davanti mormorò: - La Germania sconterà duramente questo assassinio in massa degli ebrei -. E i suoi occhi ardevano di odio”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualche anno prima, il 30 novembre 1939, in occasione del sesto anniversario della presa di potere, Hitler aveva pronunciato un discorso tanto violento quanto arrogante al Reichstag, dove ripercorreva la storia della Germania, addossava agli ebrei la colpa della povertà dei tedeschi, bollandoli come un corpo estraneo della nazione e per questo dovevano essere allontanati. “La Germania nazionalsocialista e l’Italia fascista – aveva sentenziato il fuhrer - posseggono le istituzioni che permettono di illuminare il mondo sull’essenza di un problema che a molti altri popoli è chiaro per istinto e confuso solo sotto l’aspetto scientifico. (…) Contro il motto ebraico “Proletari di tutto il mondo unitevi!”, trionferà un altro appello: Lavoratori di tutte le nazioni, riconoscete il vostro nemico comune”. Dopo la conquista della Polonia e l’invasione dell’Urss, i tedeschi dovevano così affrontare il problema dei milioni di ebrei dei territori occupati. La strategia prevedeva due soluzioni: raggruppare forzatamente gli ebrei nei ghetti (dopo averli derubati di ogni bene) o la loro fucilazione di massa. Tuttavia, per perfezionare il loro piano criminale, i nazisti stilarono il cosiddetto Protocollo di Wannsee, nel quale si incentivava la deportazione verso est. Nel corso dell’attuazione della soluzione finale, l’Europa sarà rastrellata da Est a Ovest e milioni di esseri umani uccisi.

 

Auschwitz è di fatto il più grande centro di sterminio di tutti i tempi: luogo deputato a mettere in pratica la “soluzione finale della questione ebraica”. Non è semplice quantificare le vittime dell’olocausto: alla fine della guerra infatti i nazisti hanno distrutto la maggior parte dei documenti dei loro crimini. Ad oggi, il numero delle perdite umane stimate è davvero devastante: sette milioni di civili sovietici, sei milioni di ebrei e migliaia fra omosessuali, Rom, Testimoni di Geova, disabili, serbi e polacchi. Nel solo complesso di Auschwitz, inclusi Birkenau, Monowitz e gli altri sottocampi, furono uccisi un milione di ebrei. Bambini, donne e uomini perseguiti e sterminati dai nazisti perché ritenuti “inferiori”, con lo scopo di rafforzare la razza “superiore” tedesca ed eliminare l’intera popolazione ebraica d’Europa. Sono numerose le testimonianze delle vittime di quei terribili anni. Leggere, capire e scoprire questi avvenimenti è per noi un atto importante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anno dopo anno spetta ad ognuno di noi non dimenticare, non abbassare mai la guardia e sostenere ogni attività di conoscenza, per allontanare il più possibile l’indifferenza, per ricordare quelli che sono cenere. Per ricordare quanto accaduto, numerose sono le possibilità che abbiamo a disposizione: documentari, film e interviste ai sopravvissuti. E, come ci suggerisce l'Ente nazionale per la Memoria della Shoah, Yad Vashem, "Nella tradizione ebraica l'ordine di ricordare è categorico. Questo dovere, però, non si esaurisce con l'atto cognitivo del ricordare, ma deve essere connesso sia al suo significato, sia all'azione che esso implica. Oggi noi che abbiamo il ricordo inciso nei nostri cuori e nella nostra carne, dobbiamo passare la fiaccola della memoria alla prossima generazione. Vi tramandiamo anche la lezione fondamentale dell'ebraismo, quella per cui l'esercizio della memoria deve andare di pari passo con fini etici e morali. Questo deve essere il fondamento e il fulcro delle vostre energie per poter creare un mondo migliore."

 

Occorre sempre fare molta attenzione, perché fenomeni fascisti e razzisti sono sempre in agguato e potrebbero ripresentarsi. Il 15,6 per cento degli italiani (rapporto Eurispes 2020), per esempio, nega la Shoah, affermando che lo sterminio dei nazisti non sia mai avvenuto. A questo dato sconcertante, si aggiungono poi gli scettici, secondo i quali le perdite di vita umana sono di gran lunga minori rispetto a quanto scritto sui libri di storia. Serpeggia, anche nel nostro Paese, un vero e proprio atteggiamento revisionista, pericoloso e bugiardo. È responsabilità nostra, dunque, ripetere, ricordare e condannare quanto accaduto. In questo senso, anche l’Onu ha preso posizione, approvando una risoluzione che condanna la negazione dell’Olocausto come evento storico, anche sui social media, e suggerendo, a tutti i Paesi firmatari, di impegnarsi "a sviluppare programmi educativi che instillino nelle generazioni future gli insegnamenti derivati dall'Olocausto, al fine di aiutare a prevenire futuri atti di genocidio".

Primo Levi, del resto, ci ha avvisato: “È avvenuto, quindi può accadere di nuovo”.

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