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Per la Critica

ACCOPPIAMENTI GIUDIZIOSI

GABRIELE D’ANNUNZIO – ANGELO CONTI

di Marcello Carlino

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Proprio quando la data sul calendario segna l’inizio del ventesimo secolo, vedono la luce Il fuoco di Gabriele D’Annunzio e La beata riva di Angelo Conti. L’editore dell’uno e dell’altro libro è Treves.

Quello di D’Annunzio si può considerare un romanzo a tesi, un torrentizio, pletorico, lutulento romanzo-manifesto. Città di pietra e di acqua, città pressoché morta e tuttavia beneficiaria di una prognosi fausta dopo la terapia intensiva somministrata dal vate, Venezia ha una parte di rilievo: mattatore è Stelio Èffrena, un alter ego del vate, un sopracciò che, concionando da retore ineguagliabile e così ammansendo la folla, bestiale corpo amorfo, porta in dono alla capitale della laguna la scintilla della bellezza che accende un fuoco rianimatore. Èffrena è il superuomo della poesia, che della poesia fa atto di dominio che libera e redime facendosi prassi; è il grande alchimista, Èffrena, che sa riconoscerne la potenza e sa mettere a frutto, ut unum sint, le arti tutte. Ciascuna legata al mito, profuso a iosa, e poi all’immagine di una donna che trova posto nell’harem ideale di cui Stelio si circonda (e un’immagine femminile che spicca è quella di Eleonora Duse, la tragica, che offre in sacrificio il suo amore perché possa compiersi il disegno del suo superuomo)), la musica con la poesia, la pittura (su cui il magnifico oratore lungamente si è soffermato) con il teatro e con la danza, tutte si incontrano e si intrecciano in un’opera da fare, prossima a farsi, che affonda le radici nella classicità e chiama da autore il genio, che ha celebrato a Venezia la sua epifania.

Non più Wagner, il wort-ton-drama nuovo, che rintraccia le sue lontane, nobili premesse nella Camerata de’ Bardi e nel melodramma italiano delle origini, avrà sostanza e rappresentazione sotto i cieli della penisola. Il compositore e il poeta, il maestro concertatore è lui, Èffrena, che non per nulla alla morte di Wagner ne porta sulle spalle il feretro, come raccogliendone il grandioso lascito, con la promessa e la certezza di integrarlo, di perfezionarlo, di moltiplicarne la ricchezza. Gli altri necrofori sono i suoi proseliti, i suoi apostoli. Tra loro si riconosce l’abruzzese Michetti, pittore di un verismo estetizzante, da cultura antropologica commutata in folklore, predicabile di bozzettismo; e si segnala, citato tra i disquisitori dell’estetica nuova di Èffrena-D’Annunzio, il doctor mysticus, l’artifex additus artifici.

L’autore della Beata riva è giusto il doctor mysticus, che il divo Gabriele apprezza, non tanto, tuttavia, da considerarlo alla sua pari, se lo dichiara artefice aggiunto all’artefice massimo, che resta lui, il geniale proteiforme pescarese. Il trattatello di estetica, che nasce al pubblico nel 1900, lo stesso anno del Fuoco, come a confermare un collaudato sodalizio ospita in premessa un dialogo tra Gabriele ed Ariele. Quindi, con una pronuncia non certo stentorea, quale quella di Èffrena, a bassa voce piuttosto, con discrezione, in pagine tramate di tenui risonanze, Angelo Conti ricapitola le sue idee, che sono un distillato delle idee dibattute in quel lasso di tempo (e infatti Gozzano e Campana ne ascoltano la sintesi fatta da Conti, richiamandola nei loro testi): le arti si caratterizzano per essere riferite quale allo spazio quale al tempo secondo la classificazione di Westphal, la musica è in cima a tutte (l’idea è suggerita, tra gli altri, dal pensiero di Schopenhauer), tanto che tutte aspirano, o dovrebbero, a farsi iuxta propria principia musica. Leonardo è chi, tra vaporosità di toni e sfumato e ondeggianti rispondenze armoniche, ha come musicato la sua pittura, riverberandovi il mondo ineffabile delle idee (per la sua ferrea persuasione idealistica Conti lo si definisce, nei circoli culturali del suo tempo, platone platonior e molto gli deve il leonardismo che intanto sta suggestionando poetiche e opere di letteratura). La meraviglia inoltre – ne scriveva Carlyle ospitato a sua volta nella Beata riva – è una finalità primaria da raggiungere scrivendo, dipingendo.

Nessun superuomo, dunque; Pascoli anzi, di riflesso da Carlyle, non è poi lontano dal periplo di Conti. Che non orbita con regolarità nel campo gravitazionale di D’Annunzio, ma che a D’annunzio serve, poiché nel gruppo dei suoi accoliti reca un’immagine di purezza ascetica e di fervore contemplativo dell’arte e rende ragione, giustificandoli teoricamente, di alcuni aspetti o momenti, di talune cooperazioni o dinamiche di conciliazione con gli opposti all’interno della sua estetica e della sua scrittura votate all’azione, ad una politica di dominio.

La coppia con Angelo Conti non scoppia. E il Doctor mysticus è tra i necrofori incaricati delle onoranze funebri di Wagner.                            

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