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Per la Critica

ALGHE E FANGHIGLIA

EDITH DZIEDUSZYCKA

di Sandro Gros-Pietro

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Che notizie mi date dal fronte degli eventi?

È cambiata la moda

si sono trasformati i vizi e i costumi?

Le loro tracce ho perso

 

Sono lunghi i capelli e i cappelli larghi

le gonne alla caviglia o fino al boschetto?

che mi dite del trucco

gotic-romantico o finto ingenuo

lo spray deodorante

le intime lavande

a prova di afrore e di lunga durata

l'ombelico a vista

tra i seni lo scavo

rose le pasticche o d'un intenso blu?

 

Esser informati è molto importante

per cui vi sarei grata

raccontatemi tutto.

 

 

 

Da quanti tipi è fatto il genere umano?

Quante categorie da spingere

alla rinfusa

nei vari sacchetti della differenziata?

 

Quelle che tu conosci

si può dire da vicino

di cui tu sei sicuro

per averle toccate per mano

con le pinze

col cuore

col cervello

quelle di cui tu sai lontana l'esistenza

si può dire ai confini della realtà vera

di cui saresti pronto perfino a dubitare?

 

Anzi ti piacerebbe che non ci fossero

o favole soltanto

quelle dei notiziari

della cronaca nera

quelle di cui la testa è messa

a caro prezzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Riempirsi la vita con brandelli

raccolti sull’uscio della porta

quando la spinge

invisibile mano

quella del vento

 

Riempirsi la vita con pezze rammendate

su trame evanescenti

da fili disparati

di poco accontentarsi

briciole trascurate da gabbiani

ormai sazi

 

Riempirsi la vita

che così sembri tale

che così sembri vita

e fingere di credere abbia questo

un senso nel tracciato segnato

da non si sa che cosa.

 

 

 

Si pesa la sofferenza

si misura il dolore

per fare statistiche

si calcola con cura

la conta dei dispersi

 

e del sangue che gronda

come formula vuole

del sangue

che si fa?

Si mette in bottiglia sulla quale s'incolla

un'etichetta allegra

del tipo che magari per un po'

fa tendenza?

 

Si potrebbe - perché no -

come fosse grand cru di un'annata buona

a chi decide in alto

a chi tiene i registri

a chi pigia i bottoni

darlo da trangugiare.

 

 

 

Quante storie galleggiano

in fondo a precipizi

storie da raccontare

se ne rimane vivo

il ricordo

la sera

in cerchio rannicchiati

davanti al camino

 

per provare angoscia

sentire brividi

cercare e stringere

forte

fortissimo

la mano

che non c'è.

 

 

 

 

Almeno nascano dalle ore sospese

tra grido e torpore

dallo sterile stare

nel buio ad occhi aperti

l'alba d'un'armonia

un flebile bagliore

farfalla nella foschia del dormiveglia.

 

Cosi violenti emergono

sull'orlo del pensiero

sparsi cataloghi

inventari incompiuti d'un passato remoto

rebus indecifrabile

incerta vaga nebbia

intorno a ricordi a caso seppelliti

dentro una caverna dall'uscita sbarrata.

 

 

 

L'oleandro sta lì

fermo

rigoglioso

i fiori velenosi

la voglia indecente di allargarsi

le radici insidiose striscianti sotto terra

fino a raggiungere

abbracciare

circondare

la bara lì vicina

 

L'oleandro sta lì

in piedi

quasi sprezzante

sempre più fitto

sempre più alto

insieme all'edera

nell'angolo del muro

 

L'ho piantato anni fa

vengo a controllarlo

lui cresce e non si ferma

non la smette di vivere

 

Mi fa una gran rabbia.

 

 

 

 

 

 

Potessimo scoppiare

bolle iridescenti

sotto il soffio lieve

come di un bambino

sognante   il respiro

 

potessimo sparire

ormai gramigna sterile

che un colpo di vento

fa tremare   pulviscolo

nella sera dorata

 

potessimo dissolverci

invece di marcire.

 

 

 

 

 

 

 

Evanescente si allontana

il ricordo

petite musique de nuit

sfilacciata compagna della luna

 

si allontana

a passi piccoli

felpati

silenziosi

nella foschia umile dell'alba neonata

come fosse sorpreso

perfino compiaciuto

della brezza che lo spinge

al di fuori del quadro

 

Appeso ad un albero

ancora dondola

ancora colorato

perfino vivido

d'un ricordo

il ricordo

appena consapevole

di varcare ben presto

la soglia dell'oblio.

 

 

 

 

 

 

Si scosta ora

la riva

dal mio sguardo cieco

lontana

sempre di più

cancellata dal flusso

ostinato

rapace

ubbidiente alla luna

risucchiata nel solco

della nave impietosa

 

Non più mi ama

la riva libera

che oramai si stacca

anche dal mio pensiero

come non amo   io

la nave che mi porta

verso un altro dove

in cui non vedo più

l'orizzonte

affondato nel mare

dal cielo sequestrato.

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