Anno VIII - Numero 1/2022
EDITH DZIEDUSZYCKA
POESIE
Che notizie mi date dal fronte degli eventi?
È cambiata la moda
si sono trasformati i vizi e i costumi?
Le loro tracce ho perso
Sono lunghi i capelli e i cappelli larghi
le gonne alla caviglia o fino al boschetto?
che mi dite del trucco
gotic-romantico o finto ingenuo
lo spray deodorante
le intime lavande
a prova di afrore e di lunga durata
l'ombelico a vista
tra i seni lo scavo
rose le pasticche o d'un intenso blu?
Esser informati è molto importante
per cui vi sarei grata
raccontatemi tutto.
Da quanti tipi è fatto il genere umano?
Quante categorie da spingere
alla rinfusa
nei vari sacchetti della differenziata?
Quelle che tu conosci
si può dire da vicino
di cui tu sei sicuro
per averle toccate per mano
con le pinze
col cuore
col cervello
quelle di cui tu sai lontana l'esistenza
si può dire ai confini della realtà vera
di cui saresti pronto perfino a dubitare?
Anzi ti piacerebbe che non ci fossero
o favole soltanto
quelle dei notiziari
della cronaca nera
quelle di cui la testa è messa
a caro prezzo.
Riempirsi la vita con brandelli
raccolti sull’uscio della porta
quando la spinge
invisibile mano
quella del vento
Riempirsi la vita con pezze rammendate
su trame evanescenti
da fili disparati
di poco accontentarsi
briciole trascurate da gabbiani
ormai sazi
Riempirsi la vita
che così sembri tale
che così sembri vita
e fingere di credere abbia questo
un senso nel tracciato segnato
da non si sa che cosa.
Si pesa la sofferenza
si misura il dolore
per fare statistiche
si calcola con cura
la conta dei dispersi
e del sangue che gronda
come formula vuole
del sangue
che si fa?
Si mette in bottiglia sulla quale s'incolla
un'etichetta allegra
del tipo che magari per un po'
fa tendenza?
Si potrebbe - perché no -
come fosse grand cru di un'annata buona
a chi decide in alto
a chi tiene i registri
a chi pigia i bottoni
darlo da trangugiare.
Quante storie galleggiano
in fondo a precipizi
storie da raccontare
se ne rimane vivo
il ricordo
la sera
in cerchio rannicchiati
davanti al camino
per provare angoscia
sentire brividi
cercare e stringere
forte
fortissimo
la mano
che non c'è.
Almeno nascano dalle ore sospese
tra grido e torpore
dallo sterile stare
nel buio ad occhi aperti
l'alba d'un'armonia
un flebile bagliore
farfalla nella foschia del dormiveglia.
Cosi violenti emergono
sull'orlo del pensiero
sparsi cataloghi
inventari incompiuti d'un passato remoto
rebus indecifrabile
incerta vaga nebbia
intorno a ricordi a caso seppelliti
dentro una caverna dall'uscita sbarrata.
L'oleandro sta lì
fermo
rigoglioso
i fiori velenosi
la voglia indecente di allargarsi
le radici insidiose striscianti sotto terra
fino a raggiungere
abbracciare
circondare
la bara lì vicina
L'oleandro sta lì
in piedi
quasi sprezzante
sempre più fitto
sempre più alto
insieme all'edera
nell'angolo del muro
L'ho piantato anni fa
vengo a controllarlo
lui cresce e non si ferma
non la smette di vivere
Mi fa una gran rabbia.
Potessimo scoppiare
bolle iridescenti
sotto il soffio lieve
come di un bambino
sognante il respiro
potessimo sparire
ormai gramigna sterile
che un colpo di vento
fa tremare pulviscolo
nella sera dorata
potessimo dissolverci
invece di marcire.
Evanescente si allontana
il ricordo
petite musique de nuit
sfilacciata compagna della luna
si allontana
a passi piccoli
felpati
silenziosi
nella foschia umile dell'alba neonata
come fosse sorpreso
perfino compiaciuto
della brezza che lo spinge
al di fuori del quadro
Appeso ad un albero
ancora dondola
ancora colorato
perfino vivido
d'un ricordo
il ricordo
appena consapevole
di varcare ben presto
la soglia dell'oblio.
Si scosta ora
la riva
dal mio sguardo cieco
lontana
sempre di più
cancellata dal flusso
ostinato
rapace
ubbidiente alla luna
risucchiata nel solco
della nave impietosa
Non più mi ama
la riva libera
che oramai si stacca
anche dal mio pensiero
come non amo io
la nave che mi porta
verso un altro dove
in cui non vedo più
l'orizzonte
affondato nel mare
dal cielo sequestrato.