Anno VIII - Numero 1/2022
AUGURI PRESIDENTE!
di Aldo Pirone
La maggioranza degli italiani voleva due cose: la rielezione di Mattarella al Quirinale e la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi. Sono stati esauditi.
A chi devono esser grati per tanta grazia? A Matteo Salvini. Ha fatto di tutto ma proprio di tutto perché alla fine si raggiugesse quest'obiettivo. Qualcuno, a sinistra, dovrebbe conferirgli una medaglia per il risultato raggiunto, che i progressisti da soli, divisi fra draghisti e anti draghisti, non avrebbero mai sperato.
Aveva cominciato Renzi alla Festa di Atreju di Fd’I a dare la palla al centrodestra dicendo che toccava a loro. “Oggi la destra ha dei numeri in maggioranza, da FdI a Forza Italia rappresenta il 45% dei grandi elettori. Il punto è se il centrodestra prende un’iniziativa insieme o no”. La lince di Rignano, ovviamente, ha sperato che Salvini, Meloni e Berlusconi mettessero in campo il suo cavallo che è sempre stato Casini. Per questo aveva anche dato esplicitamente il suggerimento di impostare il confronto fra i due schieramenti elettorali: centrodestra e centrosinistra pensando che poi sarebbe stato lui a fare da king maker del nuovo Presidente.
Subito, infatti, è arrivato Berlusconi che, seguendo il suggerimento di Renzi, si è autocandidato per il centrodestra bloccando ogni dialogo con l’altro fronte. Finita, due giorni prima dell’inizio delle votazioni, l’ennesima sceneggiata del cavaliere che aveva messo Sgarbi a fare scouting fra i parlamentari – il che era tutto dire sulla lucidità (demenza senile?) di “papi” -, è subentrato Salvini. Smanioso di fare il king maker, sempre sulla base dell’impostazione suggerita dal mefistofelico Renzi, ha cominciato la giostra flambé delle candidature di parte, mai presentate al voto parlamentare, finendo con il grande falò delle vanità dell’unica e disastrosa candidatura sonoramente bocciata dall’aula di Maria Elisabetta Alberta Casellati Presidente del Senato. Una signora pretenziosa, - ha insistito per essere votata - inconsapevole di sé e, soprattutto, delle opinioni degli altri su di lei, parlamentari o meno del suo stesso partito.
La smania di presentarsi come facitore del nuovo Presidente ha fatto sì che Salvini bruciasse davanti ai microfoni anche l’unica candidatura di donna pur senza farne il nome che comunque correva già sui mass media, quello di Elisabetta Belloni, che poteva avere qualche possibilità di riuscita se si fosse lasciata maturare ancora per qualche ora e sulla quale anche Giorgia Meloni, competitor del leader leghista a destra, aveva espresso gradimento. In questo caso, seguito a ruota dall’ingenuo Giuseppe Conte spinto dall’ansia da prestazione, mentre Letta si dimostrava più prudente, consapevole dei dinieghi interni al Pd ed esterni, Italia viva e FI, a questa candidatura. Dinieghi strumentali, ma che spaccavano, almeno in parte, sia il suo partito che la coalizione della maggioranza mettendo a repentaglio il governo. Sta di fatto che la Belloni era affondata dai "niet" di Renzi e dei renziani rimasti nel Pd con il pretesto che la signora era a capo dei servizi – il rignanese, infatti, com’è noto, gli spioni dei servizi preferisce incontrarli nei parcheggi dei centri commerciali oppure, da Presidente del Consiglio, affidarne la cura cybernetica ai suoi amici tipo Carrai – da FI e, dentro i pentastellati, da Di Maio. I primi, sempre con Casini, in quel momento ancora in pista, nella testa e nel cuore, e il pentastellato ministro degli Esteri, sempre con la speranza di una resurrezione di Draghi in primis e, in secundis, di azzoppare Conte.
Nel frattempo il bis di Mattarella era cresciuto nelle urne, dove i “disobbedienti” del fronte progressista, ma non solo, avevano cominciato a votarlo, prima come testimonianza di affetto, ma poi, via via, come concreta possibilità di rielezione. Alla settima votazione l’onda, partita dai “grillini”, aveva raggiunto l’altezza di 387 voti, riconnettendo sentimentalmente l’organo parlamentare con i desiderata del Paese espressi nelle ultime settimane con gli applausi a Mattarella negli avvenimenti non istituzionali come la prima della Scala nel dicembre scorso e al PalaEur il 7 gennaio alla finale del volley femminile per la coppa Italia, nonché dalle opinioni riportate dai sondaggi.
Si dice che la rielezione di Mattarella abbia certificato il “fallimento della politica”. Forse è il caso di precisare. La politica è concetto più ampio e comprensivo di quello dei partiti, riguarda l’intero spettro di forze (associazioni di varia natura) e persone che agiscono nella polis per determinarne le scelte di governo in senso lato. Dentro la politica agiscono i partiti che non sono per niente secondari nel novero di chi fa politica tanto è vero che della democrazia sono le strutture portanti e definiscono la rappresentanza parlamentare e istituzionale a tutti i livelli. Ma della politica non sono l’alfa e l’omega. Oggi il loro declino è sotto gli occhi di tutti e segna anche il declino della buona politica. Non per niente nella vicenda Quirinale essi non hanno saputo andare oltre Mattarella, individuando una figura innovativa, per esempio una donna, all’altezza della bisogna. Ma un conto è quel che ha fatto e disfatto il centrodestra guidato da Salvini, - non a caso, l’uno e l’altro, escono a pezzi dalla vicenda presidenziale - un conto è il fronte progressista che sebbene diviso fra draghisti e non draghisti aveva auspicato il bis di Mattarella.
Letta aveva detto in TV da Fazio, il giorno prima che iniziassero le votazioni, “Per noi sarebbe la soluzione ideale”, e i grillini hanno iniziato a far lievitare Mattarella nei voti parlamentari. Certo i progressisti si sono limitati a giocare sostanzialmente di rimessa, lasciando a Salvini il compito di andare a schiantarsi e rendere, dopo lo schianto, inevitabile la rielezione del Presidente in carica sulla base del perimetro dell’attuale maggioranza e non delle coalizioni contrapposte. Inoltre, cosa non secondaria, all’interno dei progressisti i draghisti non hanno prevalso anche perché la improvvida disponibilità espressa da Draghi alla vigilia di Natale oggettivamente si presentava come destabilizzante del governo e della sua maggioranza: una sorta di salto nel buio.
Se la chiave di analisi non è la politica in astratto, ma buona politica antifascista ed europeista versus quella cattiva neofascista (nazionalismo sovranista e populista) e i suoi ampi consensi nel paese, allora il risultato della conferma di Mattarella non può che essere visto positivamente. Le reazioni negative della destra neofascista di Giorgia Meloni – Fd’I non l’ha votato - e dei giornali che le danno voce, stanno a dimostrarlo. Un risultato positivo se si ha, in particolare, consapevolezza delle condizioni complessive e non certo splendenti in cui i partiti progressisti sono arrivati all’appuntamento. Sarebbe bizzarro che una vittoria antifascista, seppur difensiva e con tutte le possibili torsioni istituzionali del caso (elezione bis) – ci sarebbero state e anche maggiori con l’elezione di Draghi -, possa essere declinata con il “fallimento della politica”.
Certo la buona politica non ha brillato, ma, sicuramente, quella cattiva ha fatto Caporetto.
Auguri Presidente Mattarella!