Anno VIII - Numero 1/2022
DIARIO DI ANNE FRANK:
CONOSCENZA DA CONDIVIDERE
MEMORIA DA NON CANCELLARE
di Tonino Tosto
Dopo due anni ritorniamo in scena con questo spettacolo che Antonio Salines aveva fortemente voluto allestire e rappresentare.
Il brusio in sala ci conferma che la sala del Teatro Belli è al massimo della sua capienza. Noi attori stiamo per entrare dalla platea per vivere e rappresentare, sul palco, la tragedia raccontata dai diari di Anne Frank e vissuta da milioni di ebrei vittime della follia e della ferocia nazista.
Il pensiero di ognuno di noi va ad Antonio Salines (scomparso il 22 giugno del 2021) che con tutte le sue forze - e con un notevole sforzo economico - aveva voluto riportare in scena questo spettacolo nel suo teatro. Siamo sul palco anche per ricordarlo come uno dei più grandi attori del nostro Paese, come operatore culturale e come gestore (da oltre 50 anni) del teatro Belli di Roma.
Chi conosce il teatro sa che si deve sempre andare avanti, ma – nel nostro caso - per stare in scena al meglio proprio per onorare un grande artista come Antonio. Ricordo la sua presentazione dello spettacolo nella conferenza stampa al Centro Ebraico Pitigliani e la lettera di saluto inviata dalla senatrice Segre:
ANTONIO SALINES direttore del teatro Belli (dal 1969 al 2021)
Buongiorno, ringrazio la Comunità Ebraica che ci ospita in questa bella sede del Centro Ebraico Pitigliani.
Un particolare saluto e ringraziamento va alla Senatrice Segre, che si scusa per non essere presente a questa conferenza stampa, ma che ha voluto esserci vicina con un messaggio che leggerò.
Mi sono sempre domandato come mai questo capolavoro mancasse da tanti anni sulla scena del teatro italiano. Forse dovevano pensarci i grandi teatri pubblici, con più mezzi a disposizione per affrontare un'opera simile e impegnativa.
Invece mi sono fatto avanti io… Abbiamo acquistato un anno fa i diritti del testo, tratto da Il Diario di Anne Frank, di Frances Goodrich e Albert Hackett, Premio Pulitzer per il Teatro del 1956.
Oggi questo spettacolo è rivolto soprattutto ai giovani, ma anche a tutti noi perchè mentre “gli ultimi testimoni diretti muoiono, la memoria si sedimenti e prenda voce nelle nuove generazioni”.
Gli eventi di questi ultimi tempi, sotto gli occhi di tutti, ci hanno resi altresì consapevoli dell'importanza di questo progetto sulla memoria.
In un'epoca di selfie, in cui tutto è riproducibile, il teatro è l'unico a essere vita…
Per un piccolo teatro come il nostro, mettere in scena questo spettacolo rimane un impegno produttivo molto rilevante. Dieci attori, scena situata su due piani per ricreare il rifugio di Anne Frank, costumi ecc ecc..
Ma siamo certi che ne valga la pena.
La forza che può avere quest'opera teatrale in questo momento storico è immensa.
L'odio verso il diverso ha avuto nella tragedia dell'Olocausto la sua massima espressione: perciò bisogna sempre ricordarlo, per rendersi conto dove ci può portare il razzismo e il grado di crudeltà di cui è capace l'uomo. Leggo il messaggio che ci ha inviato Liliana Segre:
LETTERA DI LILIANA SEGRE
“Gentili signore e signori, mi scuso per non poter essere presente alla presentazione di un progetto così importante come quello promosso dalla Compagnia del teatro Belli. L’età e le difficoltà di spostamento non aiutano, ma ci tengo comunque a farvi giungere il mio saluto e il plauso per l’iniziativa, che unisce un alto profilo culturale e una evidente rilevanza sociale e civile. Il Diario di Anne Frank è in effetti la testimonianza probabilmente più celebre al mondo del dramma della Shoah, il nuovo allestimento, riproposto a partire dal Giorno della Memoria 2020, sulla base per altro di un celebre adattamento che ha già conosciuto il successo internazionale, mi auguro abbia il miglior successo, anche con gli appuntamenti dedicati alle scuole.
Le intenzioni con cui l’opera è riproposta sono esplicite ed integralmente condivisibili: parlare attraverso l’arte e il teatro in particolare di un dramma assoluto, che Primo Levi definì indicibile, quale appunto quello dello sterminio del popolo ebraico perseguito dal nazismo e in Italia dai collaborazionisti fascisti.
Tradurre in parole, immagini, significati ciò che appunto è irrappresentabile e irrazionale è la sfida forse maggiore che il secolo breve ci ha lasciato in eredità. A tutti noi, in primis noi testimoni, ormai sempre di meno, ma poi noi come società, come artisti, intellettuali, cittadini e cittadine, uomini e donne, il dovere di costruire una memoria quanto più possibile basata sulla conoscenza, sulla verità, sulla tolleranza e sulla solidarietà.
Un capolavoro come il Diario di Anne Frank ha questa capacità tutta speciale di far conoscere, far commuovere, far riflettere che sono sicura il vostro adattamento teatrale saprà valorizzare al meglio. Tempi come i nostri purtroppo hanno ancora bisogno di eroi. Fantasmi e incubi del passato infatti non sono mai definitivamente debellati e anzi rischiano di riproporsi in forme nuove e insidiose. Un affettuoso saluto a voi tutti”.
Con questi ricordi vivissimi e l’emozione di recitare per la prima volta senza Antonio Salines – mirabilmente sostituito da Ruben Rigillo – iniziamo lo spettacolo.
Il teatro vive “qui e ora” e la vita in quella soffitta a due livelli, appare più vera della vita vera. Viviamo momenti di paura, di allegria, di rabbia, di scoperta di sentimenti sconosciuti, di fame, di speranza, di perdita della dignità e di voglia di libertà. Tutto ciò in uno spazio ristretto nel quale ognuno di noi, grazie alla sapiente regìa di Carlo Emilio Lerici, si muove con naturalezza e sicurezza. Queste emozioni ed esperienze le raccontano, di seguito, alcuni attori della compagnia.
Per quanto mi riguarda il tragico finale mi provoca – ogni sera - un senso di svuotamento che – in empatia con la commozione del pubblico – mi emoziona, mi scuote, mi fa aggricciare la pelle, mi fa pensare: perché tutto ciò è accaduto? Perché è stato permesse? Come si può arrivare a queste atrocità? Quanti hanno voltato la testa dall’altra parte pensando che l’orrore riguardasse altri, i “diversi”?.
Le risposte arrivano dall’applauso finale che mi convince vieppiù, dell’importanza di continuare a lavorare per la conoscenza e trasmettere/tramandare la memoria.
RAFFAELLA ALTERIO (Anne Frank)
Partecipare, come attrice, alla messa in scena di un testo così importante è sicuramente un onore per me, ma cosa significa per noi 'giovani' affrontare questo argomento?
Siamo immersi in una storia e in un 'tempo' che ci è stato raccontato, probabilmente dai nonni, o che abbiamo studiato sui libri di scuola, un tempo in apparenza lontano, una tematica quella della Shoah, della persecuzione, della ghettizzazione e del razzismo che la società dice di aver superato; ma è veramente così? No, credo onestamente, che la paura del diverso, l'allontanamento da ciò che ci è estraneo o che più semplicemente non riusciamo a capire o accettare è un tema quanto mai attuale. Siamo educati, consapevoli, inclusivi, ed educhiamo i bambini e i giovani non solo ad aver paura e a giudicare.
Veniamo alla 'mia Anne'.
Carlo Emilio Lerici, regista di questa edizione de "il diario di Anne Frank" ha scelto una direzione ed una lettura diversa del mio personaggio. Chi viene a vedere un testo così importante si aspetta di essere spettatore di una piece teatrale cupa e pesante quasi come una messa laica fatta per ricordare o purificare l'animo da quei fatti orribili che furono la shoah e l'olocausto. Perché fa bene una volta l'anno ricordare e, forse, ci fa sentire meno cattivi (e mi ci metto nel mezzo anche io).
Mi spiace contraddirvi spettatori! La nostra Anne insieme agli abitanti della sua casa rifugio si innamorerà, litigherà, crescerà o più semplicemente rivivrà. Potrete ridere, piangere e commuovervi liberati da quell'occhio pesante di spettatore che conosce già il finale. Siamo noi, spettatori e attori persone, a conoscere la fine della "storia" e la crudeltà di quel tempo ma Loro no. Loro vivevano quel tempo e nella loro coscienza c'era molta più speranza che consapevolezza dell'orrore che da lì a poco avrebbero subito sulla loro pelle.
In conclusione la messa in scena di questo testo avviene in due momenti storici e contemporanei differenti. Saremo in scena fino a fine febbraio e proseguiremo nel mese di marzo (Covid permettendo). La prima messa in scena – con la presenza del grande Antonio Salines - è del gennaio 2020 - in una situazione prepandemia. Cosa è accaduto in questi due anni? Tanto! Abbiamo imparato ad indossare una mascherina, ad avere ancora più paura dell'altro perché magari dentro di lui porta il “mostro covid”, abbiamo visto processioni di carri funebri e siamo stati soli, reclusi nelle nostre case a guardare il cielo e le nuvole nella speranza - anche Noi, uomini contemporanei - di poter uscire. Seppur in modo tragicamente differente - e mi sembra quasi indegno fare un parallelismo, abbiamo vissuto la reclusione con un occhio di speranza che poi alla fine "#andrà tutto bene". Le mie emozioni stanno tutte in quelle bellissime parole di chi sentendo approssimarsi la fine dice al giovane Peter:
“…Malgrado tutto, io credo ancora all’intima bontà dell’uomo”.
VINICIO ARGIRÒ (Peter Van Damm)
Riprendere a teatro il diario di Anne Frank durante questo periodo così complesso è stato - secondo il mio punto di vista - ancora più impegnativo e coinvolgente rispetto a quanto già non fosse stato due anni fa.
Rivivere attraverso gli occhi del giovane Peter, il personaggio che interpreto, quella sensazione di clausura forzata, quel sentirsi confinati in uno spazio in cui si è privati dell’intimità e della libertà di scelta, ma allo stesso tempo con lo sforzo di non perdere quella dignità che rende umani, sensibili ed emotivi, delimita e genera proprio quel confine sottile fra autodistruzione e costruzione, che implica l’arrivare a diventare dei mostri come i nazisti annullandosi reciprocamente oppure il sopravvivere continuando a crescere e a riempirsi di umanità senza mai perdere la speranza.
Spero che spettacoli e progetti come questo servano per rimanere uniti contro ogni tipo di abuso e che possano essere d’esempio soprattutto per le generazioni future che avranno il compito, me compreso, di lottare e difendere con ogni mezzo il nostro diritto alla libertà in favore di una democrazia reale e duratura, basata sull’uguaglianza, sulla conoscenza, sul superamento di pregiudizi e razzismi. Tutto può cambiare e può essere migliore, basta avere la volontà di prendere una posizione e di vincere quell’indifferenza su cui troppo spesso ci si adagia.
Per tutto ciò sono necessari conoscenza della storia e delle storie e approfondimenti senza limiti dettati da posizioni cristallizzate e predeterminate. Noi giovani abbiamo bisogno di comprendere i passaggi fondamentali della storia del nostro Paese, dell’Europa e del mondo programmi scolastici sono insufficienti e spesso superficiali. Frequentando l’università ho iniziato ad approfondire e da lì ho capito quanto sia giusto dire che “devi conoscere il passato, per capire il presente e preparare il futuro”.
Cosa ho imparato da uno spettacolo come questo? Tanto, soprattutto la voglia di studiare per sapere e per essere in grado di raccogliere il testimone per tramandare la memoria e favorire la conoscenza di una tragedia come quella che raccontiamo in scena. Questa è l’unica possibilità per combattere l’indifferenza, le falsificazioni della storia e il negazionismo.
Il momento che più mi ha emozionato è certamente la scena che precede l’arrivo dei nazisti che hanno scoperto il loro nascondiglio. È un momento nel quale Peter e Anne - con la dolcezza del loro nascente sentimento - si confrontano, sulla loro situazione e sul loro futuro:
ANNE guardando fuori dal lucernario) Guarda il cielo, Peter. Che bella giornata! Non trovi che le nuvole siano bellissime? Sai cosa faccio quando mi sembra di non riuscire più a farcela? Mi penso fuori. Mi penso al parco dove mi portava papà. Sai qual è il bello quando ti pensi fuori? Che puoi immaginartelo come vuoi.
PETER (alzando appena la testa) Io non riesco più a pensare. Guardaci! Siamo nascosti qui dentro da due anni. Senza poterci muovere. Intrappolati... In attesa che vengano a prenderci... e tutto per cosa?
ANNE (alzandosi) Non siamo gli unici a soffrire. C’è sempre qualcuno che soffre...
PETER (seduto in fondo al letto) Questo non mi fa sentire meglio. lo voglio vedere qualcosa oggi... non tra mille anni.
ANNE Lo so che è terribile... (Alza il viso dolcemente) Ma sai a cosa penso ogni tanto? Penso che forse il mondo sta attraversando una fase, sai, come è successo a me con mia madre. Passerà, magari tra cent’anni, ma passerà. Malgrado tutto, io credo ancora all’intima bontà dell’uomo.
ROBERTO BALDASSARRI (dott. Dussel)
Due episodi: “Io gli ebrei li riconosco dagli occhi, anche nel tuo palazzo ce ne sono, io li riconosco dallo sguardo”. Mi ha detto così, semplicemente così; lui, il giovane negoziante egiziano accanto al mio portone. Gli avevo chiesto che carne fosse quella esposta dietro il suo bancone, “Agnello halal” mi ha risposto “lo comprano gli italiani ebrei perché è come fosse kosher”. Incuriosito gli ho chiesto come facesse a distinguere gli italiani ebrei dagli italiani non ebrei e lui: “Io gli ebrei li riconosco dagli occhi”; lo ha detto con quel tono insofferente di chi è un po’ stanco di doverci avere a che fare, ma dopotutto son clienti e comprano il suo agnello e a lui sembrava normale dire così, semplicemente così…
“Tutti voi attori eravate bravissimi, Anne Frank che storia tremenda mammamia, e poi…scusi se glielo dico… sembravate tutti proprio degli ebrei”. Mi ha detto così, gentilmente così all’uscita del teatro dopo lo spettacolo una anziana signora del pubblico, felice, commossa, entusiasta della storia che aveva appena terminato di vedere. Voleva complimentarsi con noi, con quello che aveva visto, ma in più voleva dirci che “sembravamo” degli ebrei e questo si sa potrebbe offendere… “Scusi se glielo dico…”; mi ha detto così, gentilmente così.
Questi due episodi, sono piccola cosa, quasi nulla, sono parole, frasi dette con un filo di fastidio o con un tono delicato che raccontano però quanto ancora di irrisolto e inconsapevole ci sia intorno al tema dell’antisemitismo.
Eppure noi attori, che lavoriamo con le parole, sappiamo bene quanto siano importanti, quanti messaggi, quanti sottotesti, quante informazioni si possono veicolare.
Il teatro è fatto di storie, le storie sono fatte di parole dunque il teatro è fatto di parole, il luogo buio dove risuona la voce umana. Recitare questa storia, dare suono, corpo e colore alle parole in bianco e nero di Anne Frank, farle risuonare nel buio della sala, spero possa contribuire a rendere sempre più consapevoli tutti quanti (compresi i giovani venditori egiziani e gli anziani spettatori italiani) su ciò che è stato e su ciò che non deve più accadere.
FABRIZIO BORDIGNON (signor Kraler)