Anno VIII - Numero 1/2022
ANCORA SULLA CULTURA NAZIONALE
LA SPOCCHIA DEGLI IGNORANTI
di Dino Villatico
Una notazione in margine a molte, e pur troppo frequenti, polemiche fondate su presupposti quasi sempre inattendibili, ma che da molti sono creduti incrollabili certezze. E non c’è niente al mondo di più incrollabile che le certezze di chi non sa. Molti credono che per il fatto di avere una bocca e di parlare sono per natura esperti di linguistica. Altri perché hanno orecchie e ascoltano musica si sentono autorizzati a decretare se una musica è bella o brutta, un’interpretazione giusta o sbagliata e sparano giudizi da musicologi, tipo: ma questa non è musica, solo perché non vi si riconosce una melodia, un ritmo, un’armonia. Vorrei assistere alle loro reazioni se ascoltano una composizione della Scuola di Nôtre Dame, che so, un organum di Magister Leoninus o un conductus di Perotinus. Eppure è musica straordinaria, nata tra il XII e i XIII secolo, e da essa procede tutta la musica occidentale fino a oggi. Tanto per fare un nome, è ad essa che si richiama Arvo Pärt. Per il fatto di avere un corpo e di ammalarsi troppi poi credono di conoscere le cure che servono a guarire e diventano medici, virologi, epidemiologi. Una schiera nutrita di persone, inoltre, per il fatto di avere occhi suppongono di distingue una pittura che sia un’opera d’arte da un’altra che è una crosta o, addirittura, come spesso li si sente dire, che non è nemmeno arte! Un film di Bergman è astruso, per intellettuali di nicchia. Una poesia di Sanguineti è incomprensibile e pensare che si dichiarava pure comunista! Bah, si esclama, ecco perché il PCI è finito, si era allontanato dal popolo. E naturalmente, per costoro, popolo è il piccolo borghese che non legge libri, giornali, che non va a teatro, non entra nei musei, tutta roba di nemici del popolo. I registi tedeschi (chissà poi perché solo loro, in Italia, sono visti come distruttori del teatro, quando in realtà registi che fanno teatro moderno sono sparsi in tutte le latitudini, dal Canada alla Francia, al Giappone). Ma non voglio fermarmi su casi specifichi, quanto piuttosto attirare l’attenzione del lettore su un fenomeno sempre più diffuso, e non solo in Italia: la pretesa che i “competenti”, scienziati, artisti, musicisti, teatranti, siano gente che non parla la lingua del popolo, che parla un linguaggio incomprensibile, sdogana gratuitamente vocaboli brutti, inaccettabili e contrabbanda per scienza, arte, teatro ciò che scienza, arte, teatro non è. E questa gente lo fa per truffare il popolo, per esercitare su di esso un potere di privilegio. Ciò, tuttavia, non accade solo in fatti che riguardano la lingua, la scienza, le arti. Ma si osserva anche in politica: il dissenso, soprattutto nei confronti di idee e di gusti diffusi, non sembra una critica legittima, ma una demolizione di chi sostiene quell’idea, ama quel gusto: e perciò non si confutano gli argomenti con i quali idee e gusti sono criticati, ma s’infanga come inattendibile chi avanza quelle critiche. E così nel mondo della musica, del teatro, della medicina, della politica, qualcosa non è attendibile perché lo si afferma documentando, dimostrando l’argomentazione, ma qualcosa è attendibile in base a chi ne parla, chi ne scrive, indipendentemente dalla verità o dalla fallacia della sue affermazioni Siamo diventati tutti linguisti, tutti musicologi, tutti teatranti, tutti medici, tutti virologi e tutti politologi per il solo fatto che parliamo, abbiamo le orecchie, andiamo a teatro (se ci andiamo!), perché possediamo un corpo e capita che possiamo infettarci, perché seguiamo le vicende politiche del paese e quelle del mondo (ma assai più raramente) e quindi ci riteniamo esperti di politica. La politica, anzi, non è questioni di politici, ma di chiunque. È la democrazia, bello! si dice. Uno vale uno. Si dimentica che democrazia è confronto, discussione, non conteggio di chi ha più sostenitori. La rivoluzione francese e la rivoluzione russa furono certo rivoluzioni di popolo, ma furono avviate da pochi singoli uomini. Le masse, da sé, non avrebbero avuto né la consapevolezza né l’autorità di incominciarla, una rivoluzione. Certo, avrebbero potuto scatenare una rivolta. Ma una rivolta non è una rivoluzione. È la tragedia della storia italiana, fitta di rivolte, ma senza che si realizzasse mai una vera rivoluzione. Ora, il punto non è che esista una verità per pochi e una verità per tutti. La verità è sempre per tutti, anche quando sia uno solo a conoscerla. Il punto è che ciò che affermano tutti non per il solo fatto che l’affermano tutti è una verità. Certo, è vero che possano a chiunque venire dubbi. Ma non per questo le risposte che ciascuno si dà è risposta che scioglie il dubbio. L’operazione da compiere quando si ha un dubbio è invece di chiarirsi se il dubbio è legittimo, se fondato, e bisogna, per farlo, consultare gli strumenti adeguati. Al contrario ci s’inalbera subito contro chi lo ha fatto sorgere, quel dubbio, invece d’interrogarsi prima se quella cosa c’è o è come io la si vede e la si conosce dai più, si agisce come se il fatto che non si sappia qualcosa autorizzi ad accusare, quando non addirittura a insultare, chi parlando della cosa che non si sa ne parla diversamente da come la si suppone. Se esiste, e non c’è dubbio che esista, la spocchia di chi è dotto, ed è certo fastidiosa (ma è meno frequente di quanto si pensi), come chiamarla questa di chi non sapendo le cose presume di saperle? Spocchia dell’ignorante? E magari mi querela pure perché l’ho chiamato ignorante? La conoscenza non è qualcosa che si ottiene democraticamente: la matematica, la linguistica, le scienze in genere non sono democratiche. In fondo, nemmeno la politica in sé è democratica. Il numero non fa la verità politica. Come invece crede il demagogo. La verità politica è l’accordo, il confronto delle classi sociali, lo scontro, anche, la rivoluzione. Ma mai ciò che suppongono i più solo perché sono i più. I loro bisogni, le loro sofferenze sono più democratici, spesso, delle loro opinioni. Ed è sui bisogni, sulle sofferenze che va costruito il dialogo, non sulle opinioni. Spesso chi soffre non conosce le ragioni della propria sofferenza. Democratico, dunque, è fornire a tutti gli strumenti per appropriarsi di questa conoscenza, di questa consapevolezza. Indirizzare la rivolta, legittima, perché diventi una rivoluzione, necessaria. Il che non riguarda solo la politica. Tutto in una società è collegato a tutto il resto. E dunque anche la cultura è collegata ai bisogni sociali. Ma guai a non comprendere la specificità di ogni passaggio. A mescolare tutto, a non rispettare la distinzione dei bisogni, la specificità delle discipline che studiano il reale si crea solo una confusione che favorisce il predominio dei privilegiati che hanno il denaro, il potere di illudere che i loro bisogni siano i bisogni di tutti. Finché non ci chiariremo su questo punto ci sarà sempre qualcuno che rimprovererà a un fisico di conoscere male la grammatica perché “quanto” è un avverbio o un aggettivo, ma non un sostantivo, e dunque i “quanti” non esistono. Come non esistono i virus, e i vaccini sono fabbricati con le cellule dei feti abortiti.