Anno VIII - Numero 1/2022
DANTE 700
SEI POETI RUSSI
DEL ‘900
da l’albatros n.4 2021 *
OSIP MANDEL’ŠTAM
Conversazione su Dante
Sento il primo ghiaccio, lo sento
scricchiolare sotto i ponti,
ricordo luminosa l’ebbrezza
fluttuare sopra le teste.
Dall’alto d’inumane scale,
davanti a palazzi tutti spigoli,
Alighieri poteva cantare
più acutamente la sua Firenze,
Con labbra arse di fatica.
Così la mia ombra langue e si tende
rode i grani di quel granito,
vede di notte la fila di ceppi
che di giorno sembravano case.
O si gira i pollici l’ombra
e sbadiglia con voi,
o schiamazza fra la gente,
si scalda al loro vino, al loro cielo,
e nutre di pane non dolce
i cigni insistenti.
21-22 gennaio 1937
(trad. Maurizia Calusio)
ANNA ANDREEVNA ACHMATOVA
«… mio bel San Giovanni. Inferno»
Nemmeno dopo la morte egli alla vecchia
sua Firenze tornò. Non s’era, quando
se n’era allontanato, volto indietro.
Ed è a questi ch’io canto questo canto.
L’ultimo abbraccio nella notte al lume
d’una fiaccola e l’urlo del destino,
selvaggio oltre la soglia. Dall’inferno
egli le mandò la sua maledizione,
ma non potè nemmeno in paradiso
dimenticarla. Però dentro il saio
del penitente, scalzo, con accesa
in mano la candela non passò
per l’agognata sua Firenze, bassa
e traditrice, e tanto a lungo attesa…
(trad. di Ettore Lo Gatto)
NIKOLAJ ALEKSEEVIČ ZABOLOCKIJ
Presso la tomba di Dante
Fu matrigna per me la mia Firenze
e a Ravenna sperai trovar riposo.
O viandante, non dir che l’ho tradita,
che anche la morte bolla le sue azioni.
Sulla mia urna candida ora tuba
un clombo, un uccello delizioso,
ma senza tregua io sogno la mia patria
e solamente a lei sono fedele.
Non si prende in viaggio un liuto infranto:
esso è là, morto nella natia terra.
Perché tu, o mia tristezza, o mia Toscana,
baci la bocca mia orfana e triste?
Ma il colombo dal tetto vola via,
come avesse paura di qualcuno,
e l’ombra trista d’un aeroplano
estraneo rotea sopra la città.
Batti le tue campane, o campanaro!
Non obliar che il mondo schiuma sangue!
A Ravenna sperai trovar riposo
ma neppure Ravenna n’ha aiutato.
(trad. Ettore Lo Gatto)
VASILIJ SUMBATOV
Ravenna bizantina e dantesca
Già capitale dell’esarcato,
oggi una provinciale cittaduccia.
scende su lei il tramonto, ma i ricordi
del suo passato in lei, no, non tramontano.
Lo splendore immortale dei mosaici
attraverso la tenebra dei secoli,
come il volo serale degli uccelli
è egualmente antico come nuovo.
Tutto è ancora immutato nei mosaici;
la vita è sottovetro sopra i muri
e l’antica Ravenna il suo passato
come nei sogni vede rispettato.
Io con venerazione in questi sogni
tengo fisso lo sguardo qui nei templi
e con le visioni bizantine
parlo anch’io del passato.
Il tramonto discende e impallidisce.
son lungo i muri i ricci dell’acanto.
Sotto la volta entro del mausoleo
dov’è sepolto l’immortale Dante.
Sulle vecchie corone ivi deposte
suona il silenzio dei divini versi
e l’anima anche qui come tempio
è colma tutta di venerazione.
C’è un soffio qui d’imperitura gloria
e il tempo è in suo confronto solo polvere;
l’eternità fantastica ispirata
nelle braccia di Dante addormentata.
(trad. Ettore Lo Gatto)
ANATOLIJ GEJNCEL’MAN
Toscana
Colline in fila come l’onde in mare,
fermate già nei dì della creazione.
Lontananza fuggente in viva nebbia,
siccome un visione celestiale.
Colline ricoperte dagli olivi
argentei con riflessi lilla; solo
un cipresso qua e là, come una spada
avvolta nel nuzial velo nereggia
come in un sogno lieto. Ricciolute
come colline intrecciansi le viti,
l’oro dei campi ondeggia, e dove lungo
le strade greggi pascolano tranquille,
tra i cipressi sonnecchia un mausoleo.
Ma non si sente in nessun posto un canto
d’uccello; su nell’alto è sacra pace.
Solamente le rondini volteggiano
fino allo stordimento e vien dall’aia
il saluto del gallo.
Amo la patria rigida di Dante
come Novosibirsk, terra natia.
Non m’attira, aggrappandomi alle sartie,
cercare un paradiso d’al di là.
Risolvo dell’eternità il mistero
in mezzo alla caligine dei colli
incantati, piegando sul quaderno
la fronte, e m’abbandono all’attrazione
delle parole. Ho amato l’enigmatica
Musa della mia anima qui dove
sono cresciuto ed ho decapitata
la malvagia Medusa e in mezzo ai colli
ho scelto il cimitero.
(1908)
(trad. Ettore Lo Gatto)
IOSIF BRODSKIJ
Firenze
Esiste una città in cui non c’è ritorno.
Il sole batte sulle sue finestre, come fossero specchi lisci. Vuol dire
che in essi non penetri […].
Là scorre sempre il fiume sotto sei ponti.
Là ci sono dei luoghi, dove si serrò con le labbra
anche alle labbra e la penna ai fogli. E
là s’increspa dalle arcate, dai colonnate, dagli spaventapasseri di ghisa;
In quei luoghi la folla parla, sovraccaricando l’angolo tranviario,
nella lingua dell’uomo che morì.
(trad. Agostino Bagnato)
*L’ALBATROS. RIVISTA DI ARTE CULTURA ECONOMIA SOCIETÀ, DIRETTA DA AGOSTINO BAGNATO.