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Le Parole tra noi

DANTE 700

SEI POETI RUSSI

DEL ‘900

da l’albatros n.4 2021 *

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OSIP MANDEL’ŠTAM

Conversazione su Dante

 

Sento il primo ghiaccio, lo sento

scricchiolare sotto i ponti,

ricordo luminosa l’ebbrezza

fluttuare sopra le teste.

Dall’alto d’inumane scale,

davanti a palazzi tutti spigoli,

Alighieri poteva cantare

più acutamente la sua Firenze,

Con labbra arse di fatica.

Così la mia ombra langue e si tende

rode i grani di quel granito,

vede di notte la fila di ceppi

che di giorno sembravano case.

O si gira i pollici l’ombra

e sbadiglia con voi,

o schiamazza fra la gente,

si scalda al loro vino, al loro cielo,

e nutre di pane non dolce

i cigni insistenti. 

21-22 gennaio 1937

(trad. Maurizia Calusio)

 

 

ANNA ANDREEVNA ACHMATOVA

«… mio bel San Giovanni. Inferno»

 

Nemmeno dopo la morte egli alla vecchia

sua Firenze tornò. Non s’era, quando

se n’era allontanato, volto indietro.

Ed è a questi ch’io canto questo canto.

L’ultimo abbraccio nella notte al lume

d’una fiaccola e l’urlo del destino,

selvaggio oltre la soglia. Dall’inferno

egli le mandò la sua maledizione,

ma non potè nemmeno in paradiso

dimenticarla. Però dentro il saio

del penitente, scalzo, con accesa

in mano la candela non passò

per l’agognata sua Firenze, bassa

e traditrice, e tanto a lungo attesa…

                    (trad. di Ettore Lo Gatto)

 

 

 

 

NIKOLAJ ALEKSEEVIČ ZABOLOCKIJ

Presso la tomba di Dante

 

Fu matrigna per me la mia Firenze

e a Ravenna sperai trovar riposo.

O viandante, non dir che l’ho tradita,

che anche la morte bolla le sue azioni.

Sulla mia urna candida ora tuba

un clombo, un uccello delizioso,

ma senza tregua io sogno la mia patria

e solamente a lei sono fedele.

Non si prende in viaggio un liuto infranto:

esso è là, morto nella natia terra.

Perché tu, o mia tristezza, o mia Toscana,

baci la bocca mia orfana e triste?

Ma il colombo dal tetto vola via,

come avesse paura di qualcuno,

e l’ombra trista d’un aeroplano

estraneo rotea sopra la città.

Batti le tue campane, o campanaro!

Non obliar che il mondo schiuma sangue!

A Ravenna sperai trovar riposo

ma neppure Ravenna n’ha aiutato.

                                    (trad. Ettore Lo Gatto)

 

VASILIJ SUMBATOV

Ravenna bizantina e dantesca

 

            Già capitale dell’esarcato,

oggi una provinciale cittaduccia.

scende su lei il tramonto, ma i ricordi

del suo passato in lei, no, non tramontano.

            Lo splendore immortale dei mosaici

attraverso la tenebra dei secoli,

come il volo serale degli uccelli

è egualmente antico come nuovo.

            Tutto è ancora immutato nei mosaici;

la vita è sottovetro sopra i muri

e l’antica Ravenna il suo passato

come nei sogni vede rispettato.

            Io con venerazione in questi sogni

tengo fisso lo sguardo qui nei templi

e con le visioni bizantine

parlo anch’io del passato.

            Il tramonto discende e impallidisce.

son lungo i muri i ricci dell’acanto.

Sotto la volta entro del mausoleo

dov’è sepolto l’immortale Dante.

            Sulle vecchie corone ivi deposte

suona il silenzio dei divini versi

e l’anima anche qui come tempio

è colma tutta di venerazione.

            C’è un soffio qui d’imperitura gloria

e il tempo è in suo confronto solo polvere;

l’eternità fantastica ispirata

nelle braccia di Dante addormentata.

                                          (trad. Ettore Lo Gatto)

 

 

ANATOLIJ GEJNCEL’MAN

Toscana

 

Colline in fila come l’onde in mare,

fermate già nei dì della creazione.

Lontananza fuggente in viva nebbia,

siccome un visione celestiale.

Colline ricoperte dagli olivi

argentei con riflessi lilla; solo

un cipresso qua e là, come una spada

avvolta nel nuzial velo nereggia

come in un sogno lieto. Ricciolute

come colline intrecciansi le viti,

l’oro dei campi ondeggia, e dove lungo

le strade greggi pascolano tranquille,

tra i cipressi sonnecchia un mausoleo.

Ma non si sente in nessun posto un canto

d’uccello; su nell’alto è sacra pace.

Solamente le rondini volteggiano

fino allo stordimento e vien dall’aia

il saluto del gallo.

Amo la patria rigida di Dante

come Novosibirsk, terra natia.

Non m’attira, aggrappandomi alle sartie,

cercare un paradiso d’al di là.

Risolvo dell’eternità il mistero

in mezzo alla caligine dei colli

incantati, piegando sul quaderno

la fronte, e m’abbandono all’attrazione

delle parole. Ho amato l’enigmatica

Musa della mia anima qui dove

sono cresciuto ed ho decapitata

la malvagia Medusa e in mezzo ai colli

ho scelto il cimitero.

                        (1908)

                        (trad. Ettore Lo Gatto)

 

IOSIF BRODSKIJ

Firenze

 

Esiste una città in cui non c’è ritorno.

Il sole batte sulle sue finestre, come fossero specchi lisci. Vuol dire

che in essi non penetri […].

Là scorre sempre il fiume sotto sei ponti.

Là ci sono dei luoghi, dove si serrò con le labbra

anche alle labbra e la penna ai fogli. E

là s’increspa dalle arcate, dai colonnate, dagli spaventapasseri di ghisa;

In quei luoghi la folla parla, sovraccaricando l’angolo tranviario,

nella lingua dell’uomo che morì.

                               (trad. Agostino Bagnato)

 

*L’ALBATROS. RIVISTA DI ARTE CULTURA ECONOMIA SOCIETÀ, DIRETTA DA AGOSTINO BAGNATO.

www.lalbatros.it; info@lalbatros.it

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