Anno VIII - Numero 1/2022
PER UNA POSSIBILE RINASCITA 2
UNA RIFORMA INTELLETTUALE E MORALE. UN NUOVO RINASCIMENTO, UN NUOVO UMANESIMO
Dicevo nel precedete articolo Per una possibile rinascita 1 (malacoda n.5 del mese scorso) come «la ripresa attraverso l'attuazione piena della Costituzione è anche la condizione per liberare realmente da tutte le odierne soggezioni la cultura italiana, per riproporne e ricostruirne quel ruolo di fermento e lievito politico e morale che lungamente ha avuto nei decenni seguiti alla liberazione dal fascismo ed alla sua fondazione costituzionale. Ma se l'attuazione della Costituzione ne è la condizione, quella "riforma intellettuale e morale", quell'indispensabile arrovesciamento della attuale prevalente cultura nazionale, sarà opera, se sarà, di una ripresa generale, in tutti i settori della società civile e della società politica (istituzioni, partiti, scuola, università, ricerca...), di un impegno di tutte le forze democratiche, politiche e culturali, in una aperta lotta culturale e ideale e in una instancabile educazione civile improntata ai valori della Costituzione - pacifismo, solidarismo, tensione verso l'eguaglianza e le parità, crescita, appunto, del livello culturale della Nazione... - e avversa a tutti i revisionismi storici, teorici e politici che hanno avvelenato questi ultimi cinquant'anni d'Italia e d'Europa.» E avversa, questo ci dice oggi il rapporto Censis, alla deriva irrazionalistica che travolge una cospicua parte della cittadinanza e gonfia i partiti di destra.
Questa lotta dunque, asse portante del pensiero di Gramsci, diventa centrale. Compito molto arduo, poiché il combinato disposto del pensiero unico vincente con i suoi derivati (pensiero debole, individualismo, utilitarismo, rifiuto della storia, arrivismo senza principi, esclusione anziché inclusione, odio razziale e genetico, e addirittura rifiuto del sapere ritenuto falso o/e inutile…)…, con l'avvento frantumante dei nuovi media cosiddetti sociali, ha prodotto, come è stato detto icasticamente, una vera e propria mutazione antropologica.
Talché, riprendendo le parole chiaroveggenti di Althusser di tanti anni fa, «la storia oggi [la storia della lotta di classe, N.d.r] è la storia di come un discorso dominante, e non più un leader o un duce in carne e ossa, si è installato dentro ai soggetti concreti che, sfruttati, continuano a essere il motore cieco della storia. La lotta di classe oggi deve essere ripensata come una lotta collettiva… contro questo discorso dominante… che [anche se non ne siamo coscienti, n.d.r] non ci fa essere reali, perché ne siamo semplicemente agiti, come marionette di carne, come Arlecchini che hanno disimparato a ridere.».
Questa lotta culturale e ideale è dunque compito arduo, è vero, ma primario e ineludibile, poiché una svolta nella cultura nazionale, essendo la nostra democrazia fondata sul consenso, è essa stessa condizione per la svolta costituzionale e sociale di cui stiamo parlando.
Quando si dice cultura quasi sempre s’intende la produzione culturale, artistica, letteraria, musicale…, la quale in gran parte è come non mai condizionata, manipolata, asservita dalle leggi del mercato e dunque dai poteri che il mercato posseggono e manovrano, e a mercato (delle cose e delle anime) hanno ridotto l’intero sistema delle relazioni sociali ed umane. Ed oggi in grande misura soffocata e sostituita nei media grandi e piccoli, pubblici e privati e individuali, dallo spettacolo il quale sempre più raramente è arte e sempre più largamente è trash.
Io credo invece che dobbiamo innanzitutto guardare a ciò che nelle scienze sociali s’intende per cultura di un popolo, di una nazione, di un’epoca. Che è appunto il complesso della produzione non solo artistica ma anche materiale, il pensiero dominante che diviene senso comune, e da lì l’insieme dei comportamenti sociali e umani del popolo/nazione. E se si tiene questa accezione della cultura non si può non vederne…, con una analisi severa e come sempre opinabile ma, sulla base dei dati molto seria e reale (vedi appunto il recente Rapporto Censis)…, non si può non vederne la forte decadenza: sebbene mai accettata ed ammessa, anzi negata, dall’ufficialità di stato e dai preti officianti per conto delle classi dirigenti e dominanti.
Non mancano naturalmente, in tutti i campi, eccellenze ed alti risultati: da ultimo segnalati, uno per tutti, dal Nobel a Giorgio Parisi. In certi settori della ricerca medica, scientifica, delle nuove tecnologie abbiamo dato e stiamo dando al mondo patrimoni di scoperte e realizzazioni e patrimoni umani inestimabili, e ciò nonostante l'investimento pubblico (quello privato segue le leggi del massimo profitto) sia stato in questi tre decenni sempre in calando, come del resto l'investimento generale per la cultura in generale. Inoltre, e ciò non è solo percezione disturbata della cosiddetta gente, molte di queste eccellenze umane hanno trovato e trovano soltanto all'estero la possibilità di operare, raggiungendo talvolta massimi riconoscimenti internazionali (Nobel incluso), mentre dei 250 mila giovani italiani emigrati all'estero nel decennio Duemila-Duemiladieci la gran parte sono laureati, diplomati, operatori culturali in senso lato.
Ma al di sotto di queste realtà di virtù ed eccellenze, se parliamo della cultura della Nazione, ecco una palude di stagnazione.
La scuola Media e superiore, dopo tante riforme, assillata da ricorrenti problemi strutturali, assediata da una situazione sociale sempre più difficile, mancante di decine di migliaia di insegnanti, mal pagati, largamente destituiti di autorità, sotto la pressione di una parte cospicua di genitori ostili e alla ricerca pei loro figli del pezzo di carta raggiunto col minimo impegno, percorsa fin dalle classi più basse dalla droga, non è più riuscita a dare in modo soddisfacente quella formazione di base, conoscenze e metodo critico, che sono necessari per una crescita culturale elevata all'altezza di ciò di cui avrebbe bisogno la società, lo Stato, l'economia, la vita comunitaria, l'Uomo di oggi.
Con tante, per fortuna, eccezioni, come detto. Giovani che malgrado la situazione rifiutano il dogma della inutilità del sapere (specialmente storico): dogma, pensiero dominante, divenuto ormai senso comune e vangelo non solo delle forze conservatrici e reazionarie ma di molte, troppe famiglie: e non solo per devianze ideologiche, ma anche a causa delle iniquità crescenti e della diffusa sfiducia generata dalle «aspettative soggettive insoddisfatte pur essendo legittime in quanto alimentate dalle stesse promesse razionali», nonché dai reali «rendimenti decrescenti degli investimenti sociali». Giovani che s'impegnano a fondo, e conseguono alti risultati, accedono alle Università per impegnarsi anche lì, magari in studi difficili sia umanistici che scientifici.
L'Università italiana, d'altra parte, è in molti settori all'altezza ed anche superiore delle più rinomate Università continentali e d'oltreoceano, ma troppi giovani in questi ultimi decenni sono stati sospinti a studi ritenuti più immediatamente utilitari, e ancora troppi si fermano alla laurea triennale o abbandonano. Poi in molti, conseguiti con merito i risultati che dicevo, sono costretti a emigrare o a ripiegare su mestieri di pratica opaca, quasi tutti precari e malissimo retribuiti. Ora è vero: tutti i mestieri sono dignitosi; ma lo sono solo se non alienanti e mortificanti, solo se il padrone privato o pubblico rispetta la dignità del lavoratore, cominciando dalla retribuzione, dall'orario, dalla sicurezza, dal coinvolgimento, dal riconoscimento sociale: e solo se, così riconosciuto, il lavoratore di qualsivoglia mestiere venga posto al centro del sistema, senta di essere e sia la colonna portante e il sangue vivo della Nazione. Ma appunto ciò…, lavoro non alienante ed inclusione fin dal momento della produzione …, richiede o richiederebbe un salto qualitativo nella preparazione e nella cultura del cittadino lavoratore, del produttore di beni materiali e immateriali di cui vive la società.
Invece l’analisi concreta della situazione concreta ci fa conoscere una realtà desolante. Quella, riportata dal già citato Rapporto Censis, di un continuo abbassamento del livello di istruzione e culturale degli occupati, di una occupazione sempre più povera di capitale umano[1].
Ci voleva però la profondissima crisi determinata dalla pandemia perché questo ruolo (impossibile da obliterarsi) tornasse ad essere riconosciuto e dichiarato. Almeno dichiarato. Ma diverrà concreta realtà dopo il risveglio e la sperata rinascita? O riprenderà, perfino aggravata, la realtà di quel vero "distanziamento sociale" − leggi disparità e iniquità − per cui grava sui lavoratori e i pensionati l'85% del peso fiscale, e per cui la ricchezza dell'1% degli italiani è pari al reddito complessivo del 70% del popolo nazione? Quella realtà di disarmo e distruzione dello stato sociale che ha portato il sistema sanitario e complessivo alla evidente impreparazione − non scientifica, non morale, non umana, ma tecnica effettuale? Quella realtà di frustrazione che spinge specialmente i migliori alla sfiducia e alla rinuncia?[2] Si vede forse l’idea, almeno l’idea, di una riforma della Scuola che non guardi soltanto (e poco) agli edifici? Di un rilancio su grande scala della educazione civica, cioè dei diritti/doveri e dei valori sanciti dalla Costituzione, e dell’insegnamento della storia, e delle scienze e del pensiero scientifico? Non si vede.
E ciò sebbene ci sia una verità che forse neppure noi abbiamo bene assimilato, ed è che la cultura delle masse non deriva più, se non in parte, dalla Scuola (peraltro in ciò carentissima), dai libri, dall'insegnamento dei saggi e dei padri, ma dalla TV e, ormai soprattutto, dagli altri media detti sociali in realtà assolutamente frantumanti e asociali, i quali sotto la veste della massima libertà sono in realtà condizionati determinati e indirizzati da quel famoso 1%, alla razza padrona, dai poteri forti e ai loro comis e dal loro «pensiero dominante».
«Il neoliberismo» scrivono Paul Ginsborg e Sergio Labate nel loro Passioni e politica «governa non solo l'economia ma anche le passioni − nel consumo, nel tempo libero, nel culto del narcisismo, persino nella vita politica… Buona parte delle persone si dichiarano insoddisfatte dell'attuale sistema politico, ma la loro legittima esistenza di trasformazione troppo spesso non sa affrancarsi dagli stessi comportamenti e dalle stesse passioni che vorrebbero cambiare". Ed è così.
Lo spirito pubblico, su cui si misura in definitiva la cultura e l’etica di una Nazione, ne va di conseguenza. Si sa tutto, ma la stra-vittoria del turbocapitalismo e del "pensiero unico" coi suoi derivati craxiani-berlusconiani-renziani, porta gli umani di oggi a fingere di non vedere, a voltarsi dall'altra parte..., e ad una gamma variegata di espressioni del millenniumpensiero: dalla protervia razzista (non solo contro i negri e gli ebrei, ma contro le donne, i "diversi" di ogni tipo, i deboli, i poveracci, i disabili, i vecchi, i bambini irrequieti...), allo sciovinismo, al celodurismo, al vincentismo, all'indifferenza e al non voler sapere, al post-fascista e post-moderno "chissenefrega" verso gli altri e verso tutto, all'evado ergo sum, alla coazione a comprare per essere. E la triste gravità della situazione è che in tale vortice − come minimo un «consumismo stolto e dannoso» (Papa Bergoglio), e quello che Moravia chiamava (Moravia, cinque o sei decenni or sono) edonismo di massa di derivazione americana − sono presi anche i lavoratori, gli operai, gli impiegati, i pensionati, la casalinga di Voghera (ma esiste ancora?), i piccoli commercianti, le commesse e le cameriere a part time e a 6,35 l'ora… e perfino noi che invece sappiamo. Per poi ritrovarci poi tutti insieme (ancora il Rapporto Censis) in una società largamente infiltrata dall’irrazionale: un irrazionale che si fa anche scelta elettorale (inseguito da certi partiti), abdicazione civica odio e violenza.[3]
Anche dicendo questo si dirà che esageriamo, perché invece tante e tanti eccetera eccetera. E lo so. Ma allora com'è che partiti i quali apertamente esprimono quella "cultura" raccolsero la metà dei consensi di coloro che vanno a votare? E com’è che, vedi ultime elezioni, l’astensione nelle grandi città ha superato il 50%?
Dunque centralità della lotta culturale. Dunque è tempo che le disiecta membra della cultura italiana (gli intellettuali, i produttori di beni della mente, gli insegnanti, i Maestri, gli scienziati, i filosofi, gli operatori culturali di ogni ordine e grado) rifiutino l’attuale umiliante condizione di subalternità e scendano in campo. In campo aperto: contro quelli che suonano il piffero ai grandi poteri e alla reazione, e per bandire e conquistare un nuovo rinascimento, un nuovo umanesimo. Non per rimettere l'Uomo al centro (e padrone) dell'universo ma, iuxta Aristotele e Marx, per ricostruire la sua perduta unità di essere naturale e insieme sociale.
[1] Quasi un terzo degli occupati possiede al massimo la licenza media. Sono 6,5 milioni nella classe di età 15-64 anni, di cui 500.000 non hanno titoli di studio o al massimo hanno conseguito la licenza elementare. Anche tra i poco meno di 5 milioni di occupati di 15-34 anni quasi un milione ha conseguito al massimo la licenza media (il 19,2% del totale), 2.659.000 hanno un diploma (54,2%) e 1.304.000 sono laureati (26,6%). Considerando gli occupati con una età di 15-64 anni, la quota dei diplomati scende al 46,7% e quella dei laureati al 24,0%. Un’occupazione povera di capitale umano, una disoccupazione che coinvolge anche un numero rilevante di laureati e offerte di lavoro non orientate a inserire persone con livelli di istruzione elevati indeboliscono la motivazione a fare investimenti nel capitale umano. [Il capitolo «La società italiana al 2021» del 55° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese]
[2] L’83,8% degli italiani ritiene che l’impegno e i risultati conseguiti negli studi non mettono più al riparo i giovani dal rischio di dover restare disoccupati a lungo. L’80,8% degli italiani (soprattutto i giovani: l’87,4%) non riconoscono una correlazione diretta tra l’impegno nella formazione e la garanzia di avere un lavoro stabile e adeguatamente remunerato. [Il capitolo «La società italiana al 2021» del 55° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese]
[3] L’IRRAZIONALE HA INFILTRATO IL TESSUTO SOCIALE. PER IL 5,9% DEGLI ITALIANI (CIRCA 3 MILIONI) IL COVID NON ESISTE, PER IL 10,9% IL VACCINO È INUTILE. E POI: IL 5,8% È CONVINTO CHE LA TERRA È PIATTA, PER IL 10% L’UOMO NON È MAI SBARCATO SULLA LUNA, PER IL 19,9% IL 5G È UNO STRUMENTO SOFISTICATO PER CONTROLLARE LE PERSONE. PERCHÉ STA SUCCEDENDO? È LA SPIA DI QUALCOSA DI PIÙ PROFONDO: LE ASPETTATIVE SOGGETTIVE TRADITE PROVOCANO LA FUGA NEL PENSIERO MAGICO. [Il capitolo «La società italiana al 2021» del 55° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese]