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Per la Critica

JAROSLAV SEIFERT

di Enzo Mancini

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"La nota politica si esprime anche attraverso la poesia, e in questa breve rassegna degli scrittori praghesi del Novecento spicca la figura di (1901-1986), uno sconosciuto poeta praghese Premio Nobel per la Letteratura nell'anno 1984 per "la vivacità, sensualità e capacità di invenzione" della sua opera che fornisce "un'immagine liberatrice dell'indomito spirito e della versatilità dell'uomo". Sconosciuto in occidente, negli anni venti Seifert è stato uno dei fondatori del Devětsil, un movimento letterario dell'avanguardia ispirato dallo scrittore francese Guillaume Apollinaire. Da sempre impegnato in politica, per il suo atteggiamento critico nei confronti del socialismo e per la sua opposizione a Klement Gottwald nel 1929 viene espulso dal Partito. Avvertendo la minaccia nazista che incombe su Praga, dopo il patto di Monaco pubblica la raccolta di poesie "Spegnete le luci" (1938), e per l'intero periodo della occupazione continuerà a scrivere poesie in cui esprime tutta l'angoscia della sua gente fino al giorno in cui, nella raccolta "L'elmo di terracotta" (1945), può finalmente celebrare l'insurrezione di Praga contro il nazismo.

Dopo il colpo di Stato comunista del '48 rifiuta qualsiasi compromesso con il nuovo regime e ricompare nella vita pubblica nel '56 al II Congresso dell'Unione degli Scrittori dove, con un coraggioso intervento contro i crimini dello stalinismo, chiede la riabilitazione di tutti gli scrittori ingiustamente perseguitati. Partecipa attivamente alla Primavera di Praga e si espone con forza anche nei drammatici giorni dell'invasione. Nel '69 viene eletto presidente della commissione di riabilitazione della neofondata Unione degli Scrittori, carica da cui presto si dimetterà per protesta contro l'oppressiva presenza sovietica. Sottoposto al divieto di pubblicazione, negli anni Settanta i suoi lavori circolano tramite edizioni clandestine e "samizdat". Nel 1977 firma, assieme ad altre cinquecento persone, la Carta dei diritti dell'uomo, meglio conosciuta come "Charta '77".

 

 

 

Seifert è da sempre considerato il poeta nazionale dei cechi, popolo estremamente politicizzato per i quali la poesia costituisce una sorta di alibi nazionale, tanto che in Boemia si pubblicano e si vendono statisticamente più libri di poesia che in qualsiasi altro paese del mondo. Egli è stato un poeta civile che, pur coltivando una vena poetica intima e privata, ha condiviso le sofferenze e le speranze rivoluzionarie della sua gente esaltando la gioia di vivere e la bellezza persistente, al di là di qualsiasi tragedia, della lingua, della città e della natura. Per questo egli è una delle voci più originali nel panorama della poesia del Novecento, ma è soprattutto il poeta di Praga, la "città magica" che nessuno ha cantato come lui. Dell'Italia amava Venezia, Roma e la Sicilia, ma la bella e solare Italia comunque non poteva vincere in bellezza la quieta profondità della sua Praga: "Non darei un giaciglio di questa maga per un palazzo di Roma e tre cocchi".

Negli anni trenta ha pubblicato altre opere, forse le sue più importanti, nelle quali con un tono più intimo è tornato alla rima e alla strofa scoprendo la nostalgia e mettendo in poesia le piccole cose della vita quotidiana. Ha ricominciato a pubblicare dopo gli anni di silenzio seguiti alla normalizzazione, e non c'è famiglia praghese che non possieda la maggior parte dei suoi libri. Poche sue opere sono state tradotte in italiano, e per questo in Italia è poco noto, ma gli specialisti se ne occupano da molto tempo. Per dire, Angelo Maria Ripellino, a partire dal 1949 e a più riprese, ha formulato per la Enciclopedia Treccani la voce a lui dedicata e nel '75 ha cominciato a tradurlo. Sergio Corduasz, poi, ha scritto la prefazione e curato la pubblicazione della raccolta di poesie "Vestita di luce" (1940).

 

 

Alla sua morte, avvenuta a Praga nel gennaio 1986, la città gli ha tributato un funerale di stato trasformatosi in un evento nazionale.

 

 

Foto di Francesco Jappelli

SE DITE CHE I VERSI SONO ANCHE CANTO

(Traduzione di Sergio Corduas)

 

Se dite che i versi sono anche canto
– e si dice –,
tutta la vita ho cantato.
E ho camminato con quelli che nulla avevano,
né luogo né fuoco.
Ero uno di loro.

Ne ho cantato il dolore,
             la fede, la speranza,
con loro ho vissuto
ciò che vissero. Angoscia,
debolezza, paura e coraggio,
e la tristezza della miseria.
E il loro sangue, quando scorreva,
spruzzava me.

Ne è scorso sempre abbastanza
in questo paese di dolci fiumi, erbe, farfalle,
e donne appassionate.
Anche le donne ho cantato.
Accecato dall’amore,
             nella vita ho brancolato,
inciampando in un fiore perduto
o gradino d’antica cattedrale.

Jaroslav Seifert

(Premio Nobel 1984)

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