Anno VIII - Numero 1/2022
da Striscia Rossa 3 dicembre 2021
Abbandonato l’ottimistico orizzonte del “ne usciremo migliori”, ci resta la speranza di non uscirne uguali o peggiori. Mentre dentro e fuori il club dei partiti si fa ogni giorno più calda la lotteria del Quirinale, il gattopardismo dei centri decisionali del Paese riemerge in tutto il suo splendore. Da una parte si esalta la nuova centralità del pubblico e dall’altra avanza un nuovo dirigismo di mercato che riproduce tutte le vecchie logiche e le vecchie ricette che, a parole, si dice di voler superare.
In assoluta continuità con il pre-pandemia
Nel concreto. Tanto per cominciare, quaranta milioni di italiani sono stati immunizzati con i vaccini pagati dallo Stato (qualche improvvido voleva che si pagassero anche i tamponi ai non vaccinati) e inoculati da medici e infermieri pagati dalla sanità pubblica, il mai abbastanza considerato Sistema sanitario nazionale. Analogamente, al di là del complesso e incerto arruolamento, risultano indispensabili per i progetti e gli investimenti del Pnrr decine di migliaia di nuove assunzioni nella pubblica amministrazione, depauperata per decenni di risorse professionali, tecnologie e investimenti adeguati.
Fatti solo un paio di richiami più evidenti, colpisce che questo passaggio, questo ribaltamento della prospettiva avvenga senza coglierne il senso di profonda rottura con il passato anche più recente. Sembra rientrare tutto nell’ordine naturale delle cose, quasi in assoluta continuità con il pre-pandemia, dimenticandoci, pressoché senza distinzione di sorta, dei tagli alla spesa (ovvero della riduzione dei servizi ai cittadini: salute e istruzione in primis, ma anche trasporti e ambiente) e della denigrazione (oggi tutti eroi, ieri tutti fannulloni e tutti furbetti del cartellino) nei confronti di qualsiasi vituperato capitolo di bilancio (da quello dello Stato a quello dell’ultimo ente locale) che intervenisse per assicurare l’erogazione piena ed effettiva, in qualità e quantità, dei diritti universali e di cittadinanza.
In che direzione va il Pnrr?
Rigore, austerità, esternalizzazioni, flessibilità del mercato del lavoro e via elencando.
Due anni di Covid hanno cancellato nei fatti (anche a livello internazionale) questi totem, le loro rigidità e le loro perverse ricadute. Ma si possono abbandonare quelle logiche senza sviluppare adeguate analisi e trarne le dovute conseguenze? Non si potrebbe, e non si dovrebbe, ma sembra il contrario. Come dire: si è voltato pagina, ben venga, non potevamo fare altrimenti. Ma siamo pronti a girarla di nuovo. Dalla frenesia per le nuove grandi opere alla transizione ecologica (quella con il nucleare pulito?), dal digitale senza rete unica (Tim docet), passando proprio per i finanziamenti destinati alla sanità (compresa quella privata, vedi le decisioni della Moratti per la Lombardia), le scelte (alcune già compiute, altre al momento in tendenza) risultano tutt’altro che rassicuranti.
Non è il caso di dilungarci negli esempi più o meno spiccioli, ma gli equilibri del nostro sistema economico e produttivo non sembrano essersi spostati più di tanto. Il panorama è desolante: il dibattito sui caratteri e i contenuti di un qualsivoglia nuovo modello di sviluppo è già finito negli atti dei convegni via Zoom; la politica risulta in tutt’altre beghe affaccendata e anche a sinistra le priorità dei partiti sono i tanti guai in casa propria; Cgil e sindacati, distratti e silenti, troppo impegnati nel rivendicare un tavolo e un incontro dopo l’altro, risultano non pervenuti di fatto sulle scelte strategiche che si vanno compiendo.
È vero, per dirla con Totò, che è la somma che fa il totale, ma accontentarci della montagna di euro messici a disposizione dall’Europa non è una grande trovata. Scorrendo missioni e capitoli del Pnrr c’è poco da stare allegri o anche solo tranquilli. E non bastano spruzzate di sostenibilità a rassicurarci. Accanto al boom del Pil (più corretto sarebbe dire il rimbalzo dopo le cadute dell’ultimo biennio), non si intravvede alcun superamento delle tante quanto crescenti diseguaglianze, né un rinnovato intervento dello Stato nel sistema produttivo e un allargamento della partecipazione democratica nelle scelte economiche.
Tocca a noi disturbare il manovratore
Si può, forse brutalmente, sintetizzare così: si aprono nuovi spazi al privato/ai privati, non si prevede alcun protagonismo pubblico (e sociale). Nessuno si lamenterà mai dell’azione di regolazione e controllo svolta a livello centrale, ma è l’insieme degli indirizzi e degli obiettivi a meritare ben altra attenzione. Non ci possiamo fidare e né tantomeno possiamo accettare la filosofia per cui intanto si mettono a posto le crepe lasciate dal liberismo e poi si vedrà. L’appello è proprio a quanti sono rimasti sulle barricate del primato del pubblico sul mercato a far sentire ora la loro voce, alzare i toni sulla vocazione del Pnrr e gli effetti delle sue declinazioni. Il coro “lasciamo lavorare Draghi a Palazzo Chigi fino al 2023″ è sospetto, per la sua ampiezza e il suo carattere tattico. Ma anche molto concreto e comprensibile: quieta non movere… e a chi sta decidendo dei nostri prossimi trent’anni va bene così. A noi no, abituati a viaggiare in direzione ostinata e contraria. Tocca ancora a noi disturbare il manovratore.